Welcome to Planet Barrett! Fuori impazzano gli elementi, freddo, meteore, neve, siamo sotto il Capricorno, governa Saturno, lento pianeta dalla luce cinerea...E i cui melanconici anelli hanno girato un po' troppo intorno alla mente di Syd, dandogli un'aura da Santone Indù senza corona, affossandolo in una sempre più cupa introversione. Il madcap vorrebbe tornare dai pianeti astrali esplorati, è pronto a scattare, si vede dalla cover, c'è pure una bellissima  e rotonda groupie/modella che lo aspetta per essere dipinta... Ma l'anelito rimane strozzato ai blocchi di partenza.

Qui non ci sono psico-atterraggi come nel Piper con i Floyd, che cmq partecipano con Gilmour e Wright mai così sobri - e si orbita intorno alla stanza in uno girotondo strippato e malsano, condito da psicofarmaci lenitivi di bad trip-e può capirlo solo chi c'è passato quando non si trova pace la notte. Parliamo di un ex Pink, parliamo di suoni innanzitutto: diciamo che è un album ominoso, suonato bene, nonostante false partenze e anarchie, molto "stereofonico", dai suoni globosi, caldi di folk psichedelico, che sa ancora di carcasse sonore gocciolanti e putrefacenti al sole, legno marino stagionato con cui ricavare tamburi, timpani, chitarre e bassi per i Soft Machine. Aprendo oggi quelle chitarre e quei tamburi potremmo forse contare i cerchi nel legno e saremmo stupiti dalla loro vetustà.

Le canzoni di Syd da eremita solista stanno lì, appese come tante lune tra una chitarra fuzzy essenziale e meno frikkettona  e una voice da "te le canto-in bagno la mattina" alla come viene viene. Le canzoni, già: ora trovi un SydBarrett naive, svagato, in fondo felice e pure innamorato delle sue donne più o meno reali che nuotano contente come pesci iridescenti in un acquario sonoro ovattato di Mandrax  (Terrapin, Here I go, She Took A Long Cold Look , Love You, Golden hair); più spesso è dylaniato, esanime sul pavimento con globi neri nel cielo, catene eschimesi tatuate in testa, con lo sguardo perso per lei davanti a una finestra, o  respirando come l'acqua sopra di lui (?!) (Dark Globe,  If It's In You, Feel, Long gone) ; il Ns. eroe ritorna bambino divertito nel luna park oscuro e minaccioso di una giostra a forma di polipo (Octopus);  per tornare enigmatico -ai limiti dell'ufologico (heavily Spaced!!) - in No man's land e No Good Trying, due flashback di ritorno dei vecchi Pink.

La de-semantizzazione barrettiana della musica popular dei suoi tempi e della sua giovinezza  (folk, beat, soul, surf, rock, psichedelia) e quindi del 900, giunge qui a quelle estreme conseguenze che la de-strutturata Jugband blues lasciava presagire, cioè... FOLLIAAA! Quindi alienazione mentale in uno schizzato gioco di specchi deformanti -ma cosa avrà voluto dire? . Madcap laughs è il diario psicotico di un artista in viaggio senza ritorno dentro se stesso, dove a caso si incontrano carogne fosforescenti di canzoni, scheletric

Le brezze marine e le slides Santo&Johnny dell'intimistico finale di Late night, in cui Syd blandisce parole finalmente assennate  e pacate non fanno che accentuare il senso di alienazione  di tutto il disco e dell'autore,  che nel ritornello conferma di sentirsi solo e irreale-alone and unreal. Da ascoltarsi in tutta la sua reale follia in giornate nebbiose e plumbee, confidando in un alba solare dissipatrice dei fantasmi.

P.s: Cosa farebbe oggi un imploso Barrett?  Forse sarebbe un oscuro e loco  D.J. in qualche localetto nostalgico, o disco pub,  non vorrebbe più sapere di chitarre confuse, di anni 60, di Pink Anderson e Floyd Council: cosa che in un certo senso fece, chiudendosi coi suoi dischi nella in cameretta d'albergo. Ma questo è tutto un altro trip...

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