"The interpreter", forse l'ultimo vero lungometraggio di Sydney Pollack dimostra una realtà incontrovertibile: chi sa fare cinema veramente, ci riesce sempre e comunque al di là di una storia banalotta e già vista. E' questo il caso di tanti personaggi ormai giudicati "vecchi" dall'establishment produttivo del nuovo millennio. Personaggi che riescono , nel bene e nel male, a tirar fuori sempre delle opere degne di nota. Da Clint Eastwood a Martin Scorsese, passando per Ferrara e per lo stesso Pollack.
Perchè soffermarsi su questo film, sebbene Pollack abbia fatto di meglio? Innanzitutto per un motivo semplicissimo: negli ultimi anni sono stati prodotti una miriade di pseudo thriller dal carattere politico, chi più e chi meno, privi di particolari spunti. Pollack invece tira fuori da una storia in fin dei conti abbastanza banale, un thriller dai risvolti politici e drammatici che porta indissolubili segni legati alla maestria (ma soprattutto all'esperienza) del cineasta che gli ha dato vita.
Il punto focale della vicenda sta tutto nella politicizzazione di ogni aspetto, nell'esasperazione irrazionale di tutto ciò che è anche soltanto lontanamente legato al potere. Servizi segreti e "uomini" assoldati da entità imprecisate, utilizzati per scoprire ogni minimo dettaglio della vita di Silvia Broome (Nicole Kidman), un'interprete che suo malgrado finisce in un caso diplomatico dai risvolti etnici e sanguinosi. Altri che cercano di non far trapelare nulla, perchè il peso delle notizie, in questo mondo ormai informatizzato e iper controllato è talmente alto da definire il destino di una persona.
Elementi e generi diversi che Sydney Pollack (già cineasta di "Corvo rosso non avrai il mio scalpo", "I tre giorni del condor" e "Diritto di cronaca), riesce a fondere insieme grazie alla sua sapienza cinematografica, scaturita dopo anni e anni di lavoro. Lo statunitense non eccede mai nel sentimentalismo né tantomeno nella violenza fine a se stessa. Il suo "The interpreter" è un film che si allaccia ai temi cardine della "nuova politica", senza disdegnare la denuncia delle complesse condizioni degli abitanti del Matobo (stato creato dallo stesso Pollack per il film, ma si ritiene che i caratteri descritti siano gli stessi dello Zimbabwe, che in passato creò non pochi problemi agli Stati Uniti).
Un film semplice nella sua complessità, che riesce a coinvolgere grazie anche alle buone (ma non ottime) interpretazioni di Sean Penn e della Kidman, quì prima di essere distrutta da operazioni varie e botulino. Il vero punto di forza è però, senza ombra di dubbio, Sydney Pollack, ancora capace di girare scene come quella spettacolare dell'inseguimento "a tre" sul pullman.
"Gli spari intorno a noi ci impediscono di udire ma la voce umana è diversa dagli altri suoni e può essere udita al di sopra dei rumori che la seppelliscono, persino quando non grida, persino se è solo un bisbiglio. Il più lieve bisbiglio può essere udito al di sopra degli eserciti quando dice la verità."
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