Questa non è la recensione del bellissimo film di Ron Howard. Questa è la recensione di qualcosa di molto più ricco.
Il film di Ron Howard è senz’altro splendido, ma ignora troppe cose della vita di Nash, prima della sua caduta definitiva nella schizofrenia. La più importante è il fatto che Nash, da bambino, subì degli abusi.
Ciò che stupisce di Nash è la sua bibliografia matematica: meno di dieci articoli, quasi tutti pubblicati negli “Annals of Mathematics” (la rivista matematica della Princeton University che pubblica solo capolavori memorabili e rifiuta articoli che otterrebbero subito, per chi li scrive, un posto di professore in un’università).
Il primo lavoro di Nash è un capolavoro: la teoria dei giochi (pubblicata nel 1950), quando John aveva appena 22 anni. Nel libro non si trova l’enfasi che viene data nel film e il motivo ce lo spiega Misha Gromov, grande matematico russo: “Rispetto ai due lavori successivi, la teoria dei giochi, che gli valse il premio Nobel, è una cosuccia da poco”.
Il primo di questi lavori successivi riguarda l’ “Immersione delle varietà”, un gigantesco problema di geometria differenziale posto nel 1800 da Bernard Riemann (uno dei primi 5 matematici di ogni tempo), e che Riemann, anche a causa della morte avvenuta ad appena 40 anni, non riuscì a risolvere. Nash lo risolse, e viene accennato anche nel film di Howard.
Il secondo lavoro riguarda le cosiddette “equazioni paraboliche”, legate ad uno dei celebri problemi di Hilbert, una serie di 23 problemi proposti nel 1900 dal grande matematico David Hilbert. Nash lo risolse lavorando 5 mesi, dalle 10 di sera alle 3 del mattino, 7 giorni su 7. Davvero avvincente il racconto fatto dalla Nasar.
Nel 1958, Nash, appena trentenne, era considerato uno dei più grandi matematici del mondo. Dopo la risoluzione di tre problemi così enormi, si aspettava la “Medaglia Fields”, il premio Nobel per la matematica, che, fino al 1966, veniva data a due soli matematici ogni 4 anni.
Sfortuna volle che non appena Nash risolse il problema delle equazioni paraboliche, venne a sapere che un matematico italiano, Ennio De Giorgi (per molti il più grande matematico italiano del XX secolo), aveva appena risolto il problema da un’altra prospettiva. Ovviamente non si poteva dare la medaglia Fields a due matematici che avevano risolto lo stesso problema, e allora la commissione Fields decise di ignorare sia Nash, sia De Giorgi – che essendo trentenni avrebbero potuto vincerla anche 4 anni dopo. Molto bello il modo in cui la Nasar racconta quello che avvenne nella “commissione Fields” per indurre alcuni ad aggiungere una Medaglia in più.
Questa terribile delusione fu certamente alla base della depressione di John, e della fine della sua maggiore creatività.
Nash, a questo punto, per stupido senso di rivalsa, tentò di risolvere il problema più importante della matematica pura: la congettura di Riemann, un problema ancora irrisolto, che riguarda la distribuzione dei numeri primi. Secondo Sylvia Nasar, lo sforzo inaudito necessario per risolverlo dal nulla, senza avere molta conoscenza sull’argomento, fu la causa del suo crollo definitivo nella schizofrenia.
Da allora, per circa trent’anni, la sua vita fu un vero inferno: allucinazioni, entrata e uscita da ospedali psichiatrici, depressioni e impennate di creatività (scriverà qualche altro ottimo lavoro). Nel film sono questi trent’anni il centro della sceneggiatura. Nel libro vengono descritti si, ma come si può scrivere sulla schizofrenia? Il film, da questo punto di vista, è nettamente superiore.
Poi, verso la fine degli anni 80, il miracoloso risveglio. Nel libro è raccontato molto meglio che nel film – anche se anche il film è davvero toccante. Poi il trionfo del Nobel, che nel film è insuperabile.
Tutti gli psicologi dicono che non è possibile, per uno schizofrenico, distinguere un pensiero delirante da un pensiero sano. Quindi la scena del film in cui Nash capisce che la bambina non è reale, è solo una licenza poetica. Non è umanamente possibile, perché per capire che la bambina non è reale “la sua testa dovrebbe funzionare, mentre il problema è proprio la sua testa che non funziona”.
Tuttavia, molti psicologi ammirano la tecnica che Nash ha usato per convivere con la sua malattia. Ecco le parole di Nash, che vengono citate anche in una bella scena del film, quella delle penne sul tavolo:
“Come si fa la dieta di alimenti per dimagrire, così io faccio una dieta dei pensieri, sani o malati che siano. Non permetto loro di entrare a disturbarmi”.
Un libro avvincente e toccante, eccellente complemento-capolavoro ad un film-capolavoro.
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