I SymphonyX, nel 1998, venivano da un disco per loro fondamentale. “The Divine Wings of tragedy” è impareggiabile per loro ormai, essendo il loro capolavoro. Dopo un solo anno dalla pubblicazione di quel massiccio capolavoro, ci deliziano nuovamente con un disco ottimo, seppur non paragonabile al precedente, dotato di una nuova veste, più originale, mantenendo lo status che ha reso famosa la X band: "Twilight in Olypmus".
Prima di tutto, i cambi di line-up: alla batteria ora si siede Thomas Walling, il che potrebbe far storcere il naso a chi aspettava controtempi mozzafiato, di cui Rullo era maestro. Walling comincia il suo lavoro con brani dalla ritmica per nulla impressionante, ma ricca di ripartenze ed accelerazioni che faranno il punto forte di questi brani. Naturalmente, troviamo i sempre presenti Romeo (in forma e sempre ultra tecnico alla sua chitarra) e Pinella che creano parti strumentali pregevoli. I temi si rifanno a situazioni mitologiche su una base di prog dalle atmosfere simil-power e neoclassiche che tanto contraddistinguono i nostri.
La musica parte subito con apertura che sanno di musica barocca con “Smoke & Mirrors”, in cui la prova strumentale è come sempre ineccepibile, e con un singer, Allen, che dosa sapientemente l'estensione (eccezionale) delle sue corde vocali. Il brano è coinvolgente molto, anche se dotato di una ritmica abbastanza standard e iniziano a mancarmi i tempi dispari di Rullo. La seconda canzone è un simbolo ormai della musica dei Symphony X, da cui anche moltissimi fan clubs prendono il nome: “The Church of the machine” è una song eccellente ma ciò che stupisce è il testo: una formidabile antitesi tra la mitologia/religione e il progresso odierno in una cavalcata musicale davvero mirabolante. L'influenza della musica classica si fa presente nel piccolo intermezzo dal nome “Sonata” basata sul tema della 8a sonata in Do minore di Ludwig van Beethoven, un ottimo affresco della versatilità dei nostri musicisti. Questo piccolo brano ci introduce ad un altro bellissimo pezzo: “into the dragon's den” che trovo, a mio avviso, un po' troppo corto, ma che presenta una sezione strumentale all'unisono veramente spettacolare.
Ed eccoci arrivare alla suite, un vero e proprio gioiello: “Through the looking glass” è organizzata in tre sublimi parti. In varie interviste Romeo ha spesso elogiato questa perla, dicendo che è spesso commuovente per lui. Non posso contraddirlo, essendo un elogio incredibile al sogno e alla fantasia e all'immaginazione. Lo definirei un manifesto dell'arte musicale moderna: concettualmente perfetta, così come l'aspetto musicale è ineccepibile. Da brividi Allen che grida “dream on” . L'ascolto non può fermarsi però alla suite, e continuo ad assaporare le note di “The relic” che sottolinea la bravura di un bassista quale Miller, mentre invece giudico un po' sottotono le ultime due “Orion-The Hunter” e “Lady of the snow”, nonostante offrano un'ottima chiusura del disco.
Ennesima buona, anzi, ottima prova dei progsters americani. Nonostante sia stato scritto solo un anno dopo quel capolavoro che è “The divine wings of tragedy” mantiene un livello qualitativo eccellente e per nulla figlio della fretta di tornare sul mercato e non presenta cadute di stile o mancanza di spunti interessanti. La suite ne è testimone. Un pregio del disco è quello di non essere (quasi) mai noioso e di appassionare ad ogni ascolto. Il voto non è 5, ma 4, per il solo, semplice fatto di succedere al loro capolavoro.
Consigliato ai fans del gruppo ma anche a tutti gli adepti del genere. E perché no, a chi vuole scoprire un ottimo, grande gruppo.
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