Quando guardi un film di Takashi Miike, sai già che l'esperienza, inevitabilmente, sarà delirante e fuori di testa.
L'ultimo Yakuza (First Love) è il suo film più recente tra quelli distribuiti in Italia. Non certo l'ultimo in ordine di tempo, di uno dei più prolifici registi di sempre. Non è nemmeno tra i suoi lavori più estremi, ma è uno di quelli che ho amato di più, che mi sono goduto maggiormente.
Spesso, proprio per la natura folle ed estrema dei suoi lavori, non è sempre facile godersi pienamente l'esperienza Miike. Un autore unico nel panorama contemporaneo per produttività ed unione di generi e stili anche all'interno dello stesso film.
Autore di opere spesso anche complesse e teoriche, come Iz;, di grande provocazione, come Visitor Q (in cui citava anche Pasolini), film che ricorreva al grottesco per mettere in scena le aberrazioni nascoste della società giapponese ed i suoi tabù, come la pornografia e l'incesto. Ha omaggiato la tradizione dello spaghetti western con una perla come Sukiyaki Western Django (con tanto di memorabile cameo di Tarantino). Ha realizzato un cult epocale nel suo genere (di grande importanza all'interno dell'horror nipponico) come Audition, un film di grande risonanza anche in Occidente. Omaggiato Kurosawa in 13 Assassini.
In generale, ha spesso messo al centro della sua opera lo scavo della società e della cultura giapponese.
Assieme a Sion Sono è senz'altro il regista giapponese più estremo e provocatorio di oggi, figlio anche dei grandi rivoluzionari della novelle vague nipponica come Nagisa Oshima.
Ma la Yakuza è il suo vero grande amore. Il primo amore, appunto. Dai tempi di Shinjuku Triad Society, passando per il suo film forse più noto, Ichi the killer, fino a quest'ultimo in questione.
L'ultimo Yakuza è un lavoro stupendo e divertentissimo da guardare (c'è spazio anche per uno scorcio animato, un po' come quello nell'ultimo parto wesandersoniano The French Dispatch), che mette in scena il crepuscolo di un mondo antico, come quello della Yakuza, tra mito cinematografico e modernità globale. Il tempo che passa e la fine delle tradizioni sono tematiche già affrontate da Miike, i mutamenti sociali in Audition nascondevano mostri di solitudine e orrore.
In questo caso, c'è nonostante tutto spazio, al termine della carneficina, della miseria, dell'avidità e del tramonto dell'onore, per una nota di positività e poesia.
Nota in particolare per Becky, nome d'arte di Rebecca Eri Ray Vaughan, attrice anglo-giapponese e personaggio molto noto in patria, che qui interpreta il personaggio più sopra le righe e delirante. Una perla. Un film imperdibile.
Carico i commenti... con calma