Alcune opere della settima arte dovrebbero morire nel rapporto carnale tra occhi e schermo, poichè, il bagaglio di simboli, profumi, cicatrici non è trasportabile dal maremoto sottocutaneo alla bucolica mattinata immobile del conscio. E' delitto, dunque, tradurre lo tsunami che ci ha percorso lungo lo scivolo della schiena e omaggiato dell' autunnale riarso-funereo-noise-smemorato cadere delle foglie; la cassaforte di oro vivo è sabotata da critici innamorati di Bruno Pizzul, avvolti come mummie dalla telecronaca dell'arte. "Attenzione, Visitor Q passa la palla al protagonista, infanzia disagiata, problemi sociali, ecco che il protagonista svetta nell 'aria di rigore, necrofilia, humor nero, colpo di tacco della figlia incestuosa, attenzioneeee...goooooolllllllll gooooolllllll gooooolllllll, segna al minuto 54esimo il figlio vipera che pesta a sangue la madre. Ragasiii Ragasiii go go go go go go goolllll, du brasiuuu".

Tradurre immagini video spaccamascella in formato cartaceo o radiofonico è compiere involuzione e pratica cernobiliana. Cosa sarebbero le rovesciate di Pelè esclusivamente ibridate alla mera descrizione: il nulla, così come nessuno ricorderà mai "Ehh si nel 1954 ho sentito una telecronaca di una partita che mi è rimasta impressa fino ad oggi, capolavoro" ; è questo che la grande arte ha al contrario dell'informazione spicciola che riporta tutto nella comprensione: il dono del classicismo e della a-temporalità, del non luogo.

Le pellicole di Takashi Miike passeranno alla storia del cinema e ogni critichino che popperà da esse cadrà morto come una zanzara con feticismo di DDT. Il Maestro nipponico con 70.000 dollari (in una settimana) lancia sul mondo questa sua enorme invettiva contro lo status-quo, contro la massificazione dei desideri perpetrata attraverso Tv e giornali, contro le istruzioni da ovetto per raggiungere l'orgasmo. La nippon family in questione non riesce a trovare il proprio baricentro nelle abitudini morali e barcolla in un mare increspato di prostituzione, eroina, umiliazioni, masochismo, scherzo, violenza brada; il tutto è condito da un rimorso impresso sul corpo indelebilmente come le impronte sull'asfalto dei divi di Hollywood. La non accettazione dei propri istinti animali ha imploso il proprio personalissimo hiroshima dentro ognuno dei demoni di Visitor Q. La chiave è un qualcosa di tipicamente miikeiano: il giocare. Come dice Tadanobu Asano, alfiere del sado-masochista in Ichi The Killer "Alla fine è tutto un gioco", dunque in questo cineasta classico-moderno c'è il totale superamento della morale e la volontà di trovare il proprio baricentro di gioia in qualsiasi aberrante (per la comunità) pulsione personale. Il viaggio vitale è troppo breve per trascurare se stessi e apporre delle grosse cinture di castità e briglie alla fantasia. Critica da k.o. professionistico a questo mondo sciocchino televisivo che ci vuole esseri mono orgasmici, e che ci cucina ricette univoche per la felicità.

Il cocktail di sesso, soldi, fama e successo è smembrato da qualcosa di più reale che i protagonisti afferrano solo col l'accettazione fiera. Miike si è eternizzato per benino e a noi rimane solo la contemplazione religiosa della sua opera e della sua libertà.

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