C'è una piccola linea orizzontale che separa i due kanji che formano il titolo del settimo capitolo della filmografia di Takeshi Kitano (anno 1997). Una linea sottile come un filo di seta teso tra un fiore che sboccia dove meno te l'aspetti, come volto di un animale in un quadro, e il fuoco dello sparo di una pistola che uccide. È una linea traballante ed imprevedibile, che sfugge al nostro controllo, come le onde del mare, mentre un orizzonte immobile ed imperturbabile se ne sta sullo sfondo a guardare mentre affondiamo nella sabbia, imprigionati da un destino che pare averci voluto togliere tutto, ma che forse ha voluto darci più di quanto avremmo mai sperato di avere.

Proprio su quella linea, tesa tra la vita e la morte, sembrano voler stare in equilibrio i personaggi di "Hana-Bi". Nishi, un ex "violent cop" divorato dal senso di colpa, e Miyuki, sua moglie, condannata da un male incurabile. Horibe, imprigionato su una sedia a rotelle e abbandonato dalla moglie e dalla figlia, ma anche la povera Tanako ritrovatasi vedova e costretta ad accontentarsi di un lavoro misero per mantenere se stessa e il figlioletto. Perdenti. Dal primo all'ultimo. Ma forti di quella dignità che solo la disperazione può dare, e decisi ad ottenere quella briciola di felicità che gli spetta.

Ed è bello vederli annaspare, scivolare, ma non cadere, tenersi ostinatamente in equilibrio a testa alta, nonostante la vita che li vuole far cadere nel baratro. Non importa se rimanere in piedi vuol dire lasciarsi tutto alle spalle, rinnegare la propria vita di poliziotto e commettere un crimine o salire, per gioco e per disperazione, su una giostra di tele e pennelli. Perché quel filo è la felicità e la felicità dei perdenti ha sempre un po' di tristezza e un po' di follia dentro, nel profondo. Come una foto rovinata da una macchina che passa proprio al momento dello scatto. O come un viaggio che, si sa, sarà l'ultimo e che prima o poi dovrà finire, ma che comunque vale la pena iniziare. Una felicità silenziosa perché ha già detto tutto, come la faccia spaccata di Kitano. E proprio per questo ancora più bella. Più pura.

E allora ci si dimentica dei nasi rotti a forza di pugni, del sangue che insozza la neve. Quasi non ci si accorge della violenza, delle bacchette usate per accecare uno scocciatore. Quello che rimane negli occhi sono attimi e momenti semplici (un gioco.. una passeggiata su una spiaggia vuota al mattino.. una fetta di torta da dividere in due..) di una vita sfortunata passata a rimanere in piedi, l'uno appoggiato all'altra.

La felicità è un fiore che esplode in un fuoco d'artificio che sembrava non dover scoppiare mai. È un aquilone spezzato sulla riva del mare, ma con cui è comunque bello giocare. Sono tre colpi di pistola per andare via lontano da tutto ciò che non è felicità. Per rimanere insieme. Per sempre. Felici.

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