Questa che propongo non è una recensione normale, bensì una riflessione più ampia su un artista che amo molto, ovvero Takeshi Kitano. E, in particolare, sul suo rapporto con il mondo moderno.
Contiene vari spoiler, per chi non avesse visto le seguenti opere, o non conoscesse l'opera di Kitano in generale.
I seguenti film citati sono quelli che ritengo più significativi all'interno di questo discorso e rappresentano il fulcro dell'opera del grande autore giapponese in generale: Il silenzio sul mare, Sonatine, Hana-bi, L'estate di Kikujiro e Dolls. Opere che trasmettono forte un senso di disagio, malinconia e malessere rispetto alla modernità.
Kitano che, non casualmente, talvolta è stato spiritualmente paragonato a Mishima, una delle più grandi personalità antimoderne del Novecento. Accomunati anche, banalmente, dalla riflessione ultima sulla morte, nonché dal gesto finale. Quello che Mishima compie su se stesso, inscenando la propria recita mortuaria con il plateale Seppuku all'interno dell'ufficio dell'esercito di autodifesa, in una ultima, disperata quanto vana rivolta contro la deriva del progresso e la fine dei valori fondativi della Tradizione giapponese. Quello che Kitano rappresenta attraverso i suoi protagonisti, con l'uso della pistola piuttosto che con la spada.
Lo spirito dei Samurai, d'altronde, viene ripreso ed ereditato dagli Yakuza. Ma non più, oggi.
"La vita umana è breve, io vorrei vivere per sempre" Yukio Mishima.
«È facile ignorare la presenza della morte nella nostra vita, e cercare di vivere facendo finta che non esista. La morte è qualcosa che ti segue in ogni momento. Per me sarebbe innaturale pensare alla vita e alla morte come a due elementi differenti. Io penso di essere sempre costantemente pronto al suo arrivo, senza naturalmente essere attratto o, ancor peggio, ossessionato dalla faccenda. Piuttosto credo che chi è ossessionato dalla morte abbia di conseguenza lo stesso atteggiamento anche per la vita». Takeshi Kitano.
Ad accomunare questi due giganti del Sol Levante, questa pulsione di vita e morte intese come due parti di una stessa entità.
Quello di Kitano è un cinema di elementi originari ed eterni. Il mare, la spiaggia, l'isola, il gioco, il cammino, il vagabondaggio, l'amore.
Ne Il silenzio sul mare, i due protagonisti sono una coppia di sordomuti, e il film mostra la loro storia sentimentale legata anche alla passione di lui per il surf, che infine gli sarà fatale, andando quindi da subito a dare una forma compiuta al cerchio kitaniano di amore e morte, anticipando quel che avverrà in Dolls un decennio più tardi, moltiplicato in quel caso per tre vicende che si intrecceranno tra loro in un circolo deterministico universale.
In Sonatine, gli Yakuza traditi si rifugiano temporaneamente sull'isola di Okinawa, in attesa di conoscere il proprio destino; e passano le giornate in una condizione totalmente sospesa nel tempo e nello spazio, giocando tra loro, finché il sangue non cesserà brutalmente questo idillio di ritorno all'età dell'oro dell'infanzia, lontani dal mondo contemporaneo, metropolitano, cupo e violento.
In Hana-bi, il rifiuto, spesso violento quando non brutale, del mondo moderno viene rappresentato dalla contrapposizione di tristezza, dolore e poesia straziante, nella vicenda di due coniugi che, anche in questo caso, cercano un ultimo rifugio, di gioco e intimità, imbattendosi però, talvolta, nella maleducazione di un vacanziere, prima della resa dei conti finale.
Nuovamente su una spiaggia, di fronte al mare. Uno sparo doppio metterà fine alle due esistenze, segnate da malattia e rimorso, ma anche da malinconia, tenerezza e da un grande silenzio di fronte alla vita contemporanea ed al caos urbano.
In Dolls il lungo errare dei due vagabondi (che, in alcune scene, vestono in abiti tradizionali) legati da una corda rossa, che attraversano i luoghi e le stagioni, in una condizione totalmente spogliata dalle futili necessità della modernità, legati solamente da se stessi, in attesa di un comune epilogo; il ritorno di un vecchio amore legato ad un passato tradito e sacrificato a favore di una condizione più agiata dovuta alla carriera (sempre nella criminalità) ed al successo materialistico; l'amore platonico e smisurato di un fan per una cantante. Ma soprattutto, un destino cosmico di tristezza e morte, la riflessione amara sulla impossibilità del libero arbitrio (tramite l'allegoria, che fu cara anche a Mizoguchi, delle marionette) così come del conseguimento della felicità e dell'amore all'interno di un'epoca che tutto inghiotte, lasciando dietro di sé solo una dolorosissima, lancinante bellezza ("It's the beauty that hurts you most") di colori, alba e crepuscolo, in un eterno ripetersi ciclico degli stessi errori. Il simbolo del cerchio, difatti, è presente in Sonatine e Dolls, ed è significativo.
Ancora il viaggio e il gioco, centrali ancora in Kikujiro, il film più leggero di Kitano, con due protagonisti entrambi esclusi e solitari, uno yakuza ed un bambino, che si ritrovano a condividere un'estate insieme nella speranza di trovare la madre di quest'ultimp; questo viaggio porterà amarezza ma anche una infinita dolcezza nel rapporto tra questi due piccoli reietti.
Quello di Kitano è un cinema di fuga e riparo, che però non può che essere solo momentaneo, in quanto i conti prima o poi devono essere risolti. E la sconfitta è già segnata in partenza.
In generale, ogni personaggio di Kitano è estraneo alla propria modernità; si trova, come dicevo inizialmente, a disagio, è in lotta o in guerra, nella società o, comunque, in ogni rispettivo mondo, come nel contesto della Yakuza moderna (l'imponente trilogia di Outrage segna il punto definitivo della riflessione di Kitano sull'organizzazione nipponica), ormai più in forma di multinazionale, spogliata da ogni antico valore, oppure della criminalità organizzata come fenomeno globale e globalizzato (vedi il percorso di Aniki in Brother). Il destino comune a tutti gli antieroi kitaniani è, appunto, quello che si diceva in precedenza. Una resa rispetto al mondo moderno, attraverso la morte autoinflitta, il sacrificio finale, l'ultima fuga da un'epoca a cui non appartenevano più. Ma a cui, in realtà, non sono mai appartenuti.
Ed è da sottolineare nuovamente come la parola nel cinema di Kitano sia totalmente superflua all'interno dei suoi lavori più riusciti e significativi. Ci sono cose che non puoi trasmettere con l'uso del verbo, che anzi, andrebbe a sporcare la purezza di un attimo. In un mondo in cui informazioni, individui e parole procedono per accumulo, si fanno ridondanti, rumore assolutamente insopportabile, il silenzio è la vera rivoluzione e ribellione.
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