1977. Seventy-Seven. Millenovecentosettantasette. Chiamatelo come volete, ma difficilmente la storia del rock riuscirà a ripetere un anno del genere. Sex Pistols, The Clash, Television, Suicide, Wire, danno alla luce esordi meravigliosi e indimenticabili.
Uno di questi primigeniti da ricordare, è quello che prende il nome da quest'anno. 77 dei Talking Heads, ovvero le teste parlanti. David Byrne, leader indiscusso alla voce e chitarra, accompagnato da Chris Frantz (batteria), Tina Weymouth (biondissima al basso) e Jerry Harrison (tastiere), danno vita ad un disco d'impatto eccezionale, punk-dance per attitudine, ma fondamentalmente sintesi perfetta tra rock n'roll e funky.

Gli strumenti a corda usati come percussioni. Il sound è il ritmo, e il ritmo è il sound. Non c'è elettronica ancora nei Talking Heads, ma sono le costruzioni ritmiche e gli arrangiamenti devianti a consegnare nelle mani della new-wave americana uno dei suoi capolavori. Byrne canta di storie adolescenziali e di nevrosi urbane, in un canto a scatti e nervoso, strumento aggiuntivo delle canzoni, come nei Devo. Esempi lampanti di questo concetto sono la superba "No compassion", che s'interrompe e cambia ritmo nella strofa per ritornare al punto di partenza, la storica "Psycho Killer", brano che molti vorrebbero ballare in discoteca, basata su un giro di basso semplicissimo (la-mi-sol-la), e "Don't worry about the governement" in cui emerge addirittura un mandolino nel riff.

Il lavoro sulla world music, è ancora sotterranea in questo disco, ma lo stile è già riconoscibilissimo. Poche note accennate creano la struttura ed il resto è armonia. Un pugno nello stomaco all'hard-rock e anche al punk. Come rivoluzionare il rock? ascoltate i Talking Heads.

Carico i commenti...  con calma