"Gadji Beri Bimba Clanridi
Lauli Lonni Cadori Gadjam
A Bim Beri Glassala Glanride
E Glassala Tuffm I Zimbra"

(I Zimbra)


È il 3 agosto ’79 quando le mitiche Teste Parlanti pubblicano "Fear of Music", terza prova discografica dopo lo scintillante ’77 e il capolavoro "More Songs About Buildings And Food", che vedeva l’ingresso di Brian Eno nel sound della band.

Ma Fear of Music è quasi un corpo a se stante nella carriera dei Talking Heads: lo stile spostava già in avanti le coordinate musicali e concettuali del quartetto, l’atmosfera ballabile e intrigante degli esordi lascia il posto ad ambiziose escursioni ritmiche nella nevrosi quotidiana. Sì, perché questo disco è la colonna sonora delle piccole (e grandi) ossessioni che rischiano di imprigionare l’individuo comune in una spirale d’indecifrata alienazione, e la copertina dell’album dovrebbe farlo intuire: un muro metallico completamente nero che sta a significare il totale isolamento, la perdita della libertà che non ha solo “paura della musica”. La figura esagitata di David Byrne qui prende il sopravvento, facendo leva su interpretazioni al limite dell’esaurimento, sia che parli di menti indisposte alle sue idee sia di città cui voglia identificarsi, di un 1979 immaginato durante la guerra mondiale, animali che gli cambiano la vita, chitarre elettriche processate per crimine contro lo stato… senza trascurare l’apporto strumentale della Weymouth, Harrison e Frantz, tessitori di trame compositive che ruotano ansimanti attorno al loro leader.

L’inizio è a dir poco affascinante con quella "I Zimbra" venata di suggestioni etniche in anticipo sui tempi, saggio dadaista del nuovo corso intrapreso dal gruppo: tastiere esotiche, basso pulsante, una chitarra suonata graziosamente da Robert Fripp e percussioni tribali che riaffiorano nel singolo finto-dance di "Life During Wartime". L’allucinata "Mind" brilla per le note isteriche della chitarra, il basso che scivola su se stesso e gli improvvisi squarci elettronici; "Paper" è semplicemente irresistibile, viva, capace ancora di influenzare gruppi della nuova generazione (per informazioni rivolgersi ai Franz Ferdinand); "Cities" ci sbatte da una metropoli all’altra col suo ritmo frenetico e i vocalizzi schizzati di Byrne.

Nella splendida "Memories Can’t Wait" serpeggia un inquietudine frustrata dai ricordi “non attesi”, dai fantasmi che tornano a far sentire la loro voce, grazie alla melodia thrilling e un grandissimo ritornello a tinte fosche. Una geniale "Air", anticipa la ballata più emozionante dei Talking Heads, "Heaven"; l’atmosfera trasognata del brano sembra davvero proiettarci in un paradiso sconosciuto, malinconicamente sospeso, enfatizzato dalle parole tanto semplici eppure così toccanti di Byrne:

"Everyone is trying to get to the bar
the name of the bar, the bar is called Heaven
the band in Heaven plays my favorite song
they play it once again, they play it all night long
Heaven is a place where nothing ever happens"


...fantastica.

Gli ultimi brani che seguono, sono i più stranianti:
"Animals", dal ritmo zoppicante e il canto decisamente urlato, sfocia in toni paradossali che riflettono la grottesca instabilità umana; "Electric Guitar", col ronzìo impertinente delle tastiere e una chitarra non proprio “elettrica”, mantiene sghembi legami visionari con la conclusiva "Drugs", epilogo quantomai lisergico nella sua astratta costruzione, puntellata da effetti campionati e sonorità balbettanti (esemplare il lavoro di Eno in questa canzone, come nell’intero album); chitarre acide che sfumano in lontananza chiudono l’opera nel segno della misteriosità.

Fear of Music, oltre ad essere una grande testimonianza di New Wave colta e variegata, è pura arte moderna.

E il bello doveva ancora venire con "Remain In Light"…

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