Ennesimo, instancabile centro della Zorn-iana “Tzadik”: cinquantanove saturi primi, quarantotto densi (nano)secondi, cristallizzati in tredici stupefacenti tratti di iper-dinamismo sonico; unici et “soli” musico-manufatti utilizzati/martirizzati: pianoforte et batteria. Strumental-rei (confessi) del de-scrivendo ieratico tortuoseggiante improbo lavoro, il visionario Monsieur Tatsuya Yoshida, tentacolare percuotipelli dagli iracondi trascorsi in coraggiosi e sotterranei japan outfits (Yellow Biomechanik Orchestra 2, oltreché i surreal/cacofonici, "rovinosi" Ruins), indi la aggraziata und gentilizia (un poco meno, quando si scaraventa sui tasti) Mademoiselle Satoko Fujii, folle “quadrupede” et meravigliosamente completa “pianofortista” con alle spalle una coltre infinita di cooperazioni artistiche e folta pletora di audio-incisioni di matrice non solo squisitamente jazz.

I due avventurosi trasversal-japanese jazz/eggianti in quaestio, irriverentemente imbastiscono, ancorché compiutamente costituiscono, chiarificatrici, arzigogolate jazz-trame, spesso minacciosamente nervose e precipitose, talvolta sotterraneamente riflessive ma perennemente foriere di quell'imminente (spesso raggelante) senso di pentagrammatica addensante stratificazione jazz-sublimazione. Si percepisce una intensa, quanto artisticamente vitalissima, sensazione di sonica-sfida confrontazionale: i due virtuosi in questione eseguono lo “spartito” a tratti quasi in contrapposizione, come se fosse posta in giuoco una sorta di salvifica competizione tra i propri rispettivi strumenti di personale musical-offesa/appartenenza (o difesa... fate Vobis) per l’affermazione di un ipotetico finale soggiacente.

Il canovaccio è (... manco a dirlo) spesso sbalorditivo, se non sensazionale, per dinamico equilibrio et stile esecutorio: un lavoro abile nel contemplare un apprezzabile equidistanza tra jazz-sperimentalismo (non portato alle estreme conseguenze) e scorrevole, fluida musicalità. La graziosa signorina “utilizza” la (presumibilmente) sciancata tastiera con la medesima veemenza, agilità ed eleganza con la quale si muoverebbe una mandria di bufali imbucati per caso in una striminzita cristalleria di provincia. In contraltare, da par suo, il buon Tatsuya malmena “semplicemente” tutto l’ umanamente-percuotibile gli si pari innanzi e a latere, con una precisione/fluidità al limite dell’absurdo, apparentemente senza alcuna affaticata soluzione di continuità.

I più addentro alla materia in esame sosterranno che tòpos acustici similari sono stati tempo addietro ampiamente narrati nel Jarrett-iano way of playing (segnatamente nelle sue elucubranti collaborazioni Don Pullen-iane): fortunatamente le obliqueggianti-Yoshida/Fujii-nozioni testè immortalate in cardiopalmatiche tracc(i)e quali la tellurica “Feirsttix”, la ondivaga “Take Right”, altresì la avvincente “Ayentanams” o ancora la simil/cartoonistica “Snyguilp”, pur contemplandoli, ne teorizzano, ampliano e sviluppano (spesso estremizzandoli), gli originari concetti, esprimendo una notevole proprietà materico/linguistica ed una ben delineata, a tratti abbacinante, efficace, free form-fisionomia.

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