Per conoscere Tav Falco, è utile esordire con un aneddoto tramandato da un intimorito Lux Interior, che racconta di essere in cabina di registrazione per incidere la traccia vocale di «Zombie Dance», quando si precipita dentro un indemoniato Alex Chilton, gli punta una pistola alla tempia e gli urla «Adesso cantala meglio», quasi fosse Bud White che infila la canna del suo pistolone in gola al teppistello sotto interrogatorio per fargli sputar fuori dove sia segregata la ragazza rapita e venduta dalla sua banda.
Tav Falco ed Alex Chilton sono grandi amici.
Si conoscono da quando, nel 1978, Alex assiste ad una performance “arte-azione” durante la quale Tav, completamente digiuno della benché minima nozione di teoria musicale, soffia e soffia e soffia in un fischietto e poi fa a pezzi una chitarra con una sega elettrica, sulle note di «Bourgeois Blues» di Leadbelly.
Quelle performances, Tav le battezza “art-action” per soddisfare le sue smanie artistiche ed intellettuali, da cui i rimandi ad Antonin Artaud, a Marshall McLuhans ed alla beat generation.
Alex intravede in quel pazzo scatenato una scintilla di talento e lo attrae nel suo cono d’ombra fino al punto di convincerlo a formare una banda, i Panther Burns, nella quale viene cooptato lui stesso e passeranno in centinaia, dal 1979 – anno della costituzione – fino ad oggi. Più prosaicamente ed oltre le velleità di Tav, i Panther Burns sono tre quarti di Cramps ed un quarto di Gun Club.
Sembra una storia destinata ad esaurirsi presto ed invece, attraverso una ventina di pubblicazioni tra album in studio e dal vivo ed ep, Tav Falco ed i Panther Burns arrivano fino ai nostri giorni, ma senza Alex Chilton che nel 2010 torna ad essere polvere.
Sono trascorsi 34 anni tra «Behind The Magnolia Curtain» del 1981 e «Command Performance» del 2015, un perenne tributo all’attitudine crampsiana ma non solo, perché il suono dei Panther Burns, dal cacofonico neorumorismpo degli esordi è evoluto in un ricettacolo tra i più vari, dal soul al tango; e se è loro norma inscenare sessions incandescenti sulle note di Robert Lee Burnside, molto meno scontata è la ripresa di standards pop degli anni Cinquanta e Sessanta, non disdegnando puntate nei paraggi di Frank Sinatra.
In occasione del decennale dalla formazione e per celebrare l’evento, nel 1989 i Panther Burns registrano un doppio album dal vivo, «Midnight In Memphis», pubblicato l’anno successivo dalla casa discografica francese New Rose.
La formazione dei Panther Burns è tra le migliori che si siano avvicendate negli anni, con Tav suonano in pianta stabile Alex, Ross Johnson e Doug Easley, ed ospiti di prestigio come Jim Duckworth e Jim Dickinson; ed anche se l’ispirazione non è quella dei giorni migliori - il concerto si tiene all’indomani della pubblicazione di «Red Devil», album sottotono se paragonato al precedente e bellissimo «The World We Knew» - dal vivo i Panther Burns fanno sempre faville.
Diciotto brani tratti da «Behind The Magnolia Curtain» e «Blow Your Top», dai citati «The World We Knew» e «Red Devil», album che hanno fatto la storia (segreta) di un suono che ancora oggi risuona con veemenza grazie a Blues Explosion, Oblivians, Gories ed altri benemeriti; per non dire che anche insospettabili quali Spacemen 3 e Primal Scream hanno menzionato i Panther Burns tra le proprie fonti di ispirazione.
Per chi vuole fare conoscenza con Tav Falco forse proprio questo disco dal vivo è l’approccio ideale, rispecchiando fedelmente l’evoluzione sonora del gruppo nei primi dieci anni di attività, dal compulsivo punkabilly di «She’s The One That Got’s It» al blues elettrico e senza fronzoli di «Same Thing» al brioso sixties pop di «Girl After Girl» al puro rock’n’roll di «Memphis Beat».
Nessun altro consiglio se non quello di suonarlo ad altissimo volume.
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