Esiste anche un'America che non viene raccontata, perchè è meglio tacerla. Esiste l'America lontana dalle città dei boulevards illuminati e dei grattacieli futuristici. Esiste l'America, quella vera, quella degli stati centrali, dei ranch, delle pietre, del sangue. Come il Wyoming: poco più piccolo dell'Italia e con metà degli abitanti di Napoli. Solamente montagne, foreste, fiumi, neve e freddo. E roulotte, lamiere, derelitte case in cui i nativi americani sono confinati, reietti nella terra che fu dei loro antenati. Espulsi dal (falso) sogno americano che si è costruito anche sulla sistematica eliminazione dei loro avi. Nell'immutabilità del Wyoming è veramente cambiato qualcosa? Taylor Sheridan cerca di raccontare la terra e il sangue dei luoghi appartati degli states: il confine messicano disseminato di corpi di "Sicario" (Denis Villeneuve) o il deserto del Texas, cuore d'America, in "Hell or High Water" (David Mackenzie). Con "Wind River" (titolo originale), Sheridan si sposta molto più a nord, abbandona il sole della frontiera del sud e si mette dietro la macchina da presa.

Per esplorare una delle innumerevoli "frontiere" del cuore americano, Sheridan si affida ad un modus operandi del poliziesco classico: cadavere, indagine, conclusione. Affida il ruolo di "detective" alla giovane e inesperta Jane (Elizabeth Olsen), decisamente impreparata alla durezza del selvaggio Wyoming. Lei, inurbata, perfetto esempio di un'America che non conosce se stessa. Ad affiancarla il burbero cacciatore Cory (Jeremy Renner), solitario uomo temprato dal gelo e dal dolore.

Appare chiaro che a Sheridan interessa poco il racconto della vera e propria "indagine": la pellicola indugia poco (e forse anche male) sulla ricerca del colpevole. Il regista è più preso a delineare il mondo all'interno del quale questa storia di morte sembra apparire come routine, come semplice sfogliare di uno dei tanti eventi tragici della piccola comunità. Quì si vive e si pensa ancora (e sempre) con le antiche leggi del sangue, della violenza, della "giustizia" privata. Il racconto diventa disvelamento di una realtà sociale che fa fatica ad essere raccontata negli states, quella delle comunità dei nativi, confinate, volutamente dimenticate, ai vertici per il consumo di droga, di suicidi, di depressione, e dove lo "status" di sconfitti dalla storia sembra essere diventato la norma per cui sottostare alla volontà dell'uomo bianco. "I segreti di Wind River", a spazzare via la neve che copre tutto, non è altro che la messa in scena di una realtà che è già lì. La reiterazione del sopruso. Ed ecco che se gli Arapaho sono "estranei" nella loro terra, Jane (il personaggio più debole anche a livello di scrittura) assurge ad esempio di marionetta estranea in un'America che non le appartiene: quella in cui non esiste la sfortuna perchè "i lupi non mangiano i cervi sfortunati, mangiano i cervi deboli".

Le fredde lande del Wyoming sono lo specchio delle anime raccontate da Sheridan, in un ripetersi classico della cinematografia americana che utilizza il paesaggio gelido del nord quale rappresentazione della glacialità delle sue vite (si pensi a "Fargo" o a titoli come "Affliction" di Paul Schrader e "Soldi sporchi" di Raimi): ma se la scrittura dei personaggi appare fallace, spesso troppo subordinata al racconto e priva di reale spessore psicologico, è l'estetica delle splendide location a dare forza alla pellicola che riprende proprio i fratelli Coen e si affida ad un minimalismo efficace quanto necessario. Cesellano le altrettanto gelide e soffuse note di Cave e Ellis, assoluta garanzia di qualità.

Sheridan sta tentando di aprirsi una strada verso un cinema autoriale o che prova ad esserlo e per ora ha puntato sulle vene aperte dell'America e le sue contraddizioni sociali, morali ed etiche nelle enclavi geografiche che segnano gli states come poche altre nazioni sulla faccia del pianeta. Il suo "Wind River" riesce a lavorare bene di sottrazione limitando al minimo le scene action (che quando irrompono sono chiaramente un omaggio ai vecchi classici western) ma peccando nello sviluppo poliziesco che rimane abbozzato e poco sviluppato: perchè il regista e autore ha più interesse ad inserire la storia di sottofondo in un macro (micro) cosmo che è il vero fulcro narrativo del film. E che in definitiva torna al western e alle origini della storia americana: e per citare il grande critico francese André Bazin, il western è "il genere fondativo americano".

7,5/10

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