"Il futuro è nella sabbia" disse l'eccentrico ed illuminato magnate dell'industria videoludica all'occhialuto neo-laureato in ingegneria. Ma l'ingenuo nerdacchione, a causa della sua mente obnubilata da un'istruzione troppo specializzata, non fu in grado di capire la profetica metafora. Tornò a casa, accese il suo IBM, fece trillare il modem e cominciò a sognare di fuggire con la strappona della foto che viavia si caricava in una decina di minuti, posticipando così una possibile rivoluzione.
Nel 2002 Grand Theft Auto era la vera merda ("da real shit" come si soleva dire e si solerà ancor di più 2 anni dopo con l'uscita del gangstissimo GTA San Andreas). Tutti lo chiedevano, tutti lo volevano e, di converso, tutti gli sviluppatori di software lo invidiavano. Volevano emularlo ma qualcosa sfuggiva sempre: un ingrediente segreto che non si riusciva carpire e che delineava il discrimine fra Grand Theft Auto e tutti gli altri giochi rivali che apparivano come fragili cineserie.
Nel 2002 ancora non lo avevano capito.
Avevano provato con la violenza e il misfatto. Ma per quanto ingrediente fondamentale pareva non essere sufficiente. Sparare, uccidere, rubare era da sempre stato divertente sin dall'alba della storia videoludica, si sa. E certamente lo era ancora di più se a tutta questa brutalità si aggiungeva un afflato di fellonia, di crimine, di sconsideratezza contro individui virtuali "neutrali", innocenti. Ma no, non bastava.
Una cosa parve subito abbastanza chiara. Un primo fattore che ergeva la serie Rockstar su un altro livello e che gli altri si ostinavano a ignorare era l'ironia, saporitissimo additivo sempre troppo sottovalutato e dimenticato.
Perché va bene fare stragi, ma è necessario che ci sia almeno un pizzico di goliardia in ogni pioggia di sangue se non si vuole che il giocatore senta un orribile senso di colpa e smetta di giocare.
Prendiamo Driver 3 (o meglio "Driv3r"...brrr), ad esempio. In quel gioco quando alla guida di un automobile si fa un bel frontale contro un altra autovettura di passaggio si può osservare la testa del poveretto appena speronato accasciarsi sul volante. Morto. Cosa che a pensarci bene non fa mica tanto ridere. Ma anche con un po' d'ironia macabra la mistura era ancora incompleta. Quello che veramente sfuggiva agli occhi degli sviluppatori dell'epoca, e anche degli utenti, era la sabbia.
Oggi ci pare quasi scontato ma nel 2002 si navigava ancora a vista, mancavano proprio le parole per dirlo: ci arrivarono vicine alcune riviste che utilizzarono termini un po' goffi come "giocazzeggio".
Stavano parlando, senza saperlo, di quello che oggi tutti conoscono come "sandbox gaming" e che oggi è un po' più di una metafora grazie a un gioco rivoluzionario come Minecraft. Sandbox, ovvero quel recinto, quel catino pieno di sabbia che popola l'immaginario (prettamente statunitense) degli asili infantili: un posto dove il bambino può sedersi e creare tutto ciò che vuole, nei limiti (molto estesi) delle possibilità creative della sabbia.
Torniamo però un po' indietro. Nel 2002 l'avevano capito in pochi questo segreto, a parte la Rockstar che con i suoi GTA III e Vice City già ne mostrava qualche segno in attesa di sganciare una vera bomba. Non era l'uccidere uomini e donne innocenti quasi impunemente che accendeva di gioia gli occhi di grandi e piccini (PEGI +18 ma vabè, stai a guardà il capello) o almeno non solo. Era la possibilità di farlo come di NON farlo. Si poteva giocare come si voleva: si poteva esplorare o imitare lo stile di vita di un bravo cittadino, si poteva decidere di guadagnarsi il pane onestamente come tassista (anche se prima uno lo dovevamo rubare: eh lo so, aprire un'attività è sempre dura) o come paramedico o come poliziotto. Oppure semplicemente potevamo trovare modi più creativi per fare i terroristi che non fossero soltanto imbracciare un M16 per sparare su qualsiasi cosa si muovesse senza discriminazione di sesso, razza e religione.
E storia principale e "giocazzeggio" erano intimamente collegati: si poteva passare dall'una all'altro senza cesure. E non scordiamo anche un altro fattore rivoluzionario, ovvero, l'assenza di un menu principale che mediava il rapporto fra gioco e utenza: facevi partire il dvd del gioco ed eri già nell'azione, risucchiato nella tua vita virtuale criminale. Ma qui non stiamo parlando di GTA di cui si è detto fin troppo. Vi voglio parlare invece appunto di uno fra i tanti titoli che questa scintilla di genio non la conobbero se non molto più tardi, nei dati di vendita dei giochi altrui.
The Getaway è stato un gioco le cui vendite si basarono essenzialmente sull'hype generato dalla stampa di settore anche perché si trattava di una marchetta quasi obbligatoria dato il fatto che era sviluppato da una costola della stessa Sony Computers Entertainment of Europe (SCEE).
Eppure, con l'eventualità di fare i criminali nell'intero centro di Londra fedelmente riprodotto, quell'hype appariva ben giustificato. Nessuno aveva ancora tentato nulla di simile se non in modo molto meno accurato. Anni prima di google street view gli sviluppatori di Team Soho, forti di un budget cospicuo, se ne andarono in giro a fotografare le facciate dei palazzi della capitale britannica per riproporli sotto forma di poligoni generati al computer.
La verosimiglianza delle ambientazioni serviva principalmente ad aumentare il grado di coinvolgimento del giocatore a vantaggio dell'inedita potenza "cinematica" proposta da questo titolo. Grazie a una grafica dettagliata e pulita, all'assenza totale di un head-up display (ovvero nessun dato su schermo: niente barra della vita, stelle di sospetto, numero di colpi nell'arma. Niente di niente) sullo schermo e ad un utilizzo massiccio del motion capture per animazioni realistiche dei corpi umani il team Soho voleva creare un'esperienza simile a quella di un film in cui il protagonista è guidato nella sua avventura dal giocatore-spettatore. E diciamolo subito: The Getaway riuscì a eccellere in questi obiettivi. Per quanto riguarda il resto... bè non proprio, o meglio, sarebbe giusto dire "è complicato".
Ritorniamo al contesto: 2002 = GTA è il re dei videogiochi, quello che nessun possessore della fortunatissima console Sony (la più fortunata di tutte le console con i suoi 120 milioni di pezzi venduti e il più esteso catalogo di giochi, alcuni sviluppati ancora oggi, a 12 anni dal suo primo rilascio) non può assolutamente permettersi di non possedere.
In questo contesto, un gioco ambientato in un'intera città in cui è possibile rubare veicoli e uccidere i passanti non può evitare il confronto con il re. In quel contesto lì i videogiocatori non poterono evitarlo e bè nemmeno i produttori del gioco fecero nulla per scongiurare il paragone e The Getaway appariva non soltanto come un ambizioso film interattivo ma anche come un plausibile insidiatore del trono.
E The Getaway fallì miseramente da questo punto di vista. Le ragioni sono almeno due: da ricercare prima di tutto nella mancanza della "sabbia" (con la storia principale separata dal free roaming, fra l'altro sbloccabile solo a gioco finito) e in secondo luogo dal fatto che non basta creare un mondo poligonale estremamente verosimile per poter dire di aver creato una città. Ma di questo riparleremo più avanti.
The Getaway vi trasporta in quell'immaginario di una Londra criminale piena di mafie e bande, probabilmente assai fantasioso, tanto caro a Guy Ritchie in film come "Snatch" o "Lock & Stock": è la storia dell'involontaria ricaduta nel marcio di Mark Hammond, un ex criminale pentito a cui viene rapito il figlio e ammazzata la moglie, che si ritroverà in un momento all'altro in una missione di salvataggio e vendetta. E chissenefrega: la storia è piuttosto blanda, piena di situazioni ridicole e buchi nella sceneggiatura. Una roba che sfigura in confronto a capolavori come Max Payne ma non è questo il punto perché l'originalità è in come tutto questo viene raccontato. Non mancano i filmati d'intermezzo, spesso anche lunghi, ma la forza narrativa del gioco è nel gameplay stesso.
Come detto la mancanza di un HUD è inaspettatamente cruciale al fine dell'immedesimazione, tuttavia a causa di questa mancanza lo stile di gioco ha subito una conseguente integrazione. Ad esempio durante le fasi a piedi, in ambienti chiusi eccezionalmente curati (ma non senza problema di telecamera), le frequenti sanguinose sparatorie "cover based" (ovvero basate sull'utilizzo di ripari: niente azioni alla Rambo se non si vuol crepare in mezzo secondo) raramente ci lasceranno intatti ma l'unica spia di salute saranno i lamenti del nostro anti-eroe e la velocità del suo passo. E per curarci basterà usare la potenza taumaturgica delle pareti sulle quali il nostro eroe si appoggerà ed ansimerà per una durata direttamente proporzionale alla gravità delle ferite: un giusto compromesso (al tempo molto originale) fra i classici medikit e la vita auto-rigenerante degli shooter odierni.
Mentre durante gli inseguimenti, alquanto realistici per via della presenza di automobili (niente moto) realmente esistenti (c'è pure la Fiat Punto e la Peugeot 106) che si danneggiano molto velocemente e quando forano diventano quasi totalmente inguidabili, il "realismo cinematografico" è delineato dall'assenza di una mappa/GPS. Per raggiungere gli obiettivi avremo soltanto le frecce della macchina che si accenderanno di volta in volta per indicarci la strada, che a pensarci è una soluzione quantomeno bizzarra; del tipo che si è inseguiti dalla polizia e noi mostriamo tranquillamente il nostro prossimo punto di svolta. Però per quanto non molto pratico il sistema funziona.
L'azione è dunque davvero frenetica, si guida come pazzi scappando sia da polizia che da gang rivali, cercando di non andare contro i bastardissimi paletti spartitraffico che, al contrario di gta, non si possono buttare giù. La tensione è sempre alta perché riuscire a tenere la macchina integra è un impresa ma anche scendere a piedi per rubare un nuovo veicolo è pericoloso per via dei proiettili della polizia e dei tempi di reazione e di frenata degli altri automobilisti che non di rado fanno fallire missioni a un passo dalla conclusione sfracellandoci sotto il peso dei loro pneumatici. Anche le sparatorie in luoghi chiusi ( alcuni piuttosto interessanti, come lo strip club e il fetido bordello pieni di donne "innocenti" con le puppe di fuori) sono abbastanza gratificanti per via della violenza e dei mugugni di dolore degli avversari. Però è tutto qui. Non c'è nient'altro.
Ci sono, sì, due fasi di gioco ben fatte (più una terza in stile "stealth" più frustrante che altro) ma manca la creatività e l'entusiasmo (creata da zero nelle città virtuali di GTA) che pure l'ambientazione dovrebbe suggerire ma dell'odierna e cosmopolitica Londra rimane soltanto il suo grigiore tradizionale. La sensazione di un'occasione persa è forte. Londra poteva essere un enorme parco giochi come quello, vibrante ed effervescente, che la cultura britannica ha creato negli ultimi sessant'anni ma invece è soltanto il teatro di una storia che si poteva ambientare in qualsiasi altro posto, un teatro ben curato ma inerte e soffocante con i gli attori (i passanti) che se ne stanno sempre isolati a ciondolare senza far nulla. Un teatro morto. Questa non è Londra, è l'Edimburgo di Trainspotting (che poi nel film è Glasgow).
Un luogo senza ironia: come in quella missione in cui ci si trova in un ospedale dove si può sparare ai pazienti stesi sui letti per avere in output il biiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiip dell'elettroencefalogramma piatto, che non è divertente, solo morboso.
Se siete stati a Londra in una delle sue solite giornate grige e deprimenti giocare per qualche minuto a The Getaway un piccolo soffio al cuore ve lo darà sicuramente ma i limiti di questo gioco vengono fuori subito: la città è fotorealistica quanto volete ma gli sviluppatori sembra si siano limitati a mettere un plumbeo skybox (l'enorme texture che ricopre la calotta del cielo virtuale) e abbiano timbrato il cartellino soddisfatti. Vedrete Londra soltanto di mattina e col cielo nuvoloso, niente notte, niente sole, NIENTE PIOGGIA (a Londra, capito!?!). Il che è pure abbastanza ridicolo dato che la storia si snoda in un arco temporale di almeno un paio di giorni. La sabbia è già cemento solidificato.
Forse se quelli del Team Soho si fossero dati più tempo ci avrebbero regalato (per una mezza dozzina di diecioni dell'epoca) un vero capolavoro ma la voglia di rivaleggiare con Vice City (uscito due mesi prima nel novembre 2002) e la necessità commerciale di arrivare in tempo per natale ci ha consegnato soltanto un ottimo gioco a suo modo abbastanza unico quando non tenta pedissequamente di affiancarsi al re della spiaggia, forte anche di una longevità discreta grazie al fatto che una volta finita la storia di Mark Hammond la si rivive (per altre 12 missioni) dal punto di vista dell'agente Frank Carter. Uno dei tanti giochi che, silenziosamente, hanno contribuito a glorificare la Playstation 2 come console più importante del decennio passato.
Se avete già giocato ai pezzi da novanta dell'ingegneria arenaria e volete farvi un violento giretto per una London non troppo swinging oggi potrete farlo per un prezzo davvero ridicolo, comunque ben speso.
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