Kevin Martin, personalità di spicco all'interno della scena elettronica londinese, sempre al passo con i suoi mutevoli trend, giornalista musicale e grafico, pioniere dell'illbient, del dubstep, del raggastep, del rap-noise-industriale di Dälekiana memoria, sassofonista di spessore, discepolo di John Zorn, (continua...), sta dietro a una miriade di progetti che definire tutti qualità assoluta è assai riduttivo: The Bug, King Midas Sound, God, Ice, Experimental Audio Research, Pressure e tanti altri non certo minori. Le labels che hanno ospitato la sua arte altrettanto: City Slang, Matador, Rephlex, Hyperdub, Mille Plateaux, Force Inc, Tigerbeat6, Big Cat, DHR: scusate se è poco. Il top è comunque uscito dall'animale technoide che il barbuto produttore concepisce durante una delle tante orge noise insieme al compare di lunga data Justin 'Godflesh' Broadrick (altro artista iper-prolifico, influente e dalle svariate personalità, anche se il suo tocco è qui minore).
Techno Animal non è un banale pseudonimo musicale di due cazzoni che decidono di collaborare. E' un organismo a se con una propria vita, un proprio sviluppo e un'intelligenza superiore. Techno Animal è la fotografia della Londra post-industriale, è un essere concepito e sviluppatisi dai detriti di essa, nulla riesce come Techno Animal, che ha vissuto ciò in prima persona, a metterne in luce i tratti urbani e di alienazione. Techno Animal ne assimila i trend musicali, gli sviluppi, i segnali, li assorbe e li rigurgita in forme nuove e diverse da ogni altro rigurgito. Sperimentazione, ma non solo. "Radio Hades" è tutto ciò ancor prima che un'allapparenza sterile collezione di ricostruzioni di pezzi pubblicati prima d'ora soltanto in vari ep limited-edition; sono i rifiuti organici dell'animale techno raccolti su di una scodella, ma hanno tutta la parvenza del pasto ricco, tutte le parvenze dell'album in quanto tale.
Sound compressissimo, saturazione quasi a livello di Merzbow (ok, comunque irraggiungibile) e distorsioni spinte al massimo dietro un muro di violenza che cita ora più che mai il nichilismo distruttivo dell'industrial. Beat lentissimi, cupi, grezzi e ferrosi sono quello che troverete all'interno di questa grande release. Dai vocals paranoici e sospirati di Trickyana memoria che aleggiano sulla misteriosa "The Myth-Illogical" ai devasti imponenti di inni all'harsh quali "Toxicity", "Beheaded", "Excavator", "Phantom Tribe" per passare ai, ormai tipici del duo, tediosi muri di feedback e bassi pronunciatissimi che albergano su "Bass Concussion", "The Disciples of Dark" e "Fistfunk". Se conoscete i due tipi è inutile dirvi come i beat siano devasto assoluto e come siano in continua lotta con i bassi - esagerati a dir poco - che tentano di sotterrarli, e spesso vi riescono pure, salvo poi essere a sua volta sepolti da terzi breaks violenti e distorti che entrano sulla scena, dando vita a deliri noise di potenza inaudita. Se poi ci mettiamo anche l'illbient del Martin di metà novanta, portata ad un livello dub pieno di tutti quei synth acidi, suonacci lerci e fondali ambient che popolavano il precedente "Re-Entry" che si incontra su trip del calibro di "Return of the Venom" o "Dread Time Warp" è chiaro che non esiste più nessuna scusa, questo disco deve essere vostro.
Harsh è la parola d'ordine.
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