Kevin Martin e Justin Broadrick. Basterebbero questi due nomi l'uno dietro l'altro per realizzare di trovarsi dinanzi a roba seria. Anzi, serissima. Tra gli innumerevoli progetti cui i due stanno dietro, sia a livello di duo, che come solisti o ancora come parte di progetti più ampi - leggasi band o supergruppi - (The Bug, King Midas Sound, God, Godflesh, Jesu, Final, Napalm Death, Experimental Audio Research, Sidewinder e tantissimi altri) hanno nel corso di un ventennio sperimentato su qualsiasi genere, e con notevoli risultati. Dal post-rock all'industrial, dal free jazz al grindcore, dal glitch al dubstep, dalla techno al dub, dallo sludge metal al drone, dall'ambient all'illbient, dal drum n bass al noise-rock le vedute artistiche di queste due figure sembrano non avere limiti: non è quindi apparsa come una stranezza l'incursione sul rap sperimentale di "The Brotherhood of the Bomb" (Matador, 2001), sonorità per la verità già esplorate - anche se in forme meno chiare - sui primi parti Techno Animal, o con quella bomba a mano che era "Bad Blood" sotto l'aka Ice.
Il rap, se cosi possiamo chiamarlo, di "The Brotherhood of the Bomb" non è ovviamente rap canonico, non potrebbe essere altrimenti parlando di tali giganti, temerari dell'ecletticità, produttori e musicisti creativi come pochi, assi della sperimentazione, distruttori della piaga-clichè, senz'altro un esempio per tutti, un pugno in faccia a tutte quelle band che si riciclano per dischi, se non anni; chiamiamolo pure noise-rap. Infatti rispettando quella che è una certa propensione ai wall of noise che è tipica delle uscite Techno Animal come di God e terzi progetti paralleli, ci troviamo davanti ad un disco acido ed estremamente abrasivo, ricco di dissonanze, chili di distorsione e beat assolutamente devastanti, memori della lezione dell'amico Mick 'Scorn' Harris, cosiccome degli importanti sviluppi underground/ abstract hip hop del periodo, impreziositi inoltre da rappati sempre duri e lerci di vari guest altrettanto pesanti della medesima scena (due nomi su tutti: EL-P, Dälek, non certo i primi che passano).
La prima traccia è subito folgorante, trattasi della velenosa "Cruise Mode 101" col featuring dei Rubberoum cazzuti come sempre su di un beat claustrofobico e deturpato dalla, sin da qui immancabile, distorsione pesante. Sulla stessa scia - chili su chili di distorsione, base violenta, rappato ancora più violento - troviamo altre cinque tracce: La prima è la fumosa "Dc-10": i Sonic Sum al mic, cosiccome i Techno Animal in regia, sono inizialmente precisi e composti, salvo poi tramutarsi in puro delirio noise, su un ritornello mai cosi guerrigliero e industriale. La seconda è "Piranha", un tripudio di synth marci, bassi inenarrabili, feedback spaventosi, sporcizia rumoristica, ma soprattutto un potentissimo Toastie Taylor, col suo toasting come al solito da paura; musicalmente Martin anticipa inoltre quanto qualche anno dopo sperimenterà col progetto The Bug - inizialmente su piani illbient, poi piu ragga quando folgorato dai nuovi trend londinesi - cioè quell'ibrido tra dubstep e dance-hall distorto, malato e con vocali hardcore, in un anticonformismo che va a scontrarsi volutamente con la tipica solarità di reggae et similia, ma conservandone l'aria stoned. La statuaria "Glass Prism Enclosure" col featuring degli Anti-Pop Consortium - e relativo/caratteristico flow malatissimo - spinge sicuramente meno con le distorsioni, ma il beat in compenso è ispiratissimo, alieno, urbano, pestosissimo e tagliente, come del resto i classici feedback-drone distorti e le dissonanze industriali che sono ormai prassi nella produzione di Martin e Broadrick.
Le altre due tracce rap-oriented sono due fottutissimi capolavori sia a livello di base che di rap. Si tratta della malattia di "We Can Build You" che presenta al mic due pezzi grossissimi: El-P al massimo della forma, stilosissimo e incazzatissimo, e Vast Aire dei leggendari Cannibal Ox che gli tiene perfettamente testa; la base è abrasiva, ferrosa e devastante anche se mai quanto "Hell", un titolo un programma, che ci consegna i Dälek ancora più furiosi sulla base dei due criminali, che mettono in piedi un'invalicabile muro del suono, caricando distorsione su ogni strumento e su ogni canale (basso-beat-voce); Mc Dälek poveraccio - ma c'è abituato - ne risulta praticamente sepolto vivo! Altrove lo chiamerebbero eargasm.
Questa la parte più rap/noise del disco, il resto si aggira su territori industriali a cavallo tra montanti breaks e l'ibrido dub/drone/industrial/experimental che caratterizzava i primi, criptici e oscuri, dischi del progetto, ma con ancora la meticolosa attenzione per beat che non lesinano di richiamare alla doppia acca; si tratta della sconvolgente "Robosapien" (dark, breakkosa e iper-distorta) "Hypertension", "Freefall" (fortissime influenze dub, bassline da p-a-u-r-a e beat illegali), il dub techno malato di "Monoscopic" (Monolake impazzito), la brutalità harsh di "Blood Money" e il randello "Sub Species" (schifosamente distorta e acida).
Come ogni release firmata dal genio di Martin, le idee, l'originalità e il 'tiro' sono ad altissimo livello, dimostrandosi a suo agio con il rap cosiccome lo è col sax accanto ad un John Zorn... figuriamoci se poi ci aggiungi pure quel mentecatto di Broadrick, due pezzi da novanta che tirano fuori un capolavoro di inestimabili proporzioni, nonchè uno dei dischi più potenti che abbiano mai raggiunto l'orecchio degli umani. Big up!
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