Da bambino volevo diventare un cavaliere di ventura e amavo guardare i treni. Ne contavo i vagoni sperando che non finissero mai. Quando andavo a trovare i nonni in Piemonte, mio padre mi portava alla stazione di Avigliana. Era la manna. L’imprecatissimo passaggio a livello (oggi non esiste più) non faceva in tempo a sollevarsi che un nuovo annuncio intimidatorio lo rimetteva in orizzontale per il transito, al netto dei treni locali, dei convogli merci diretti in Francia via Torino. Alcuni erano talmente lunghi che sembravano tradotte.
Un anno, per qualche oscuro motivo si decise di trascorrere le vacanze estive in un piccolo centro del cosentino, Grisolia. Sembrava di stare al mio paese dove però l’unica differenza la faceva il mare a qualche chilometro più in là. Un mare bello ma infame, dove quando sei sicuro di raggiungere il largo a passo di sumo, coli a picco in una fossa che vuole imitare quella delle Marianne.
Grisolia non era toccata da una strada ferrata e per soddisfare i miei innocenti divertimenti bisognava spostarsi all’abbandonata stazione di Cirella o a quella di Diamante. Il traffico ferroviario era pari a zero con qualche decimale dopo la virgola. Con un pò di fortuna riuscivi a coprire le dita di una mano con la caffettiera diesel della Fiat. La stazione era così deserta che mi azzardai, con il consiglio e la complicità di mio padre, ad appoggiare un orecchio su una rotaia, bollente di stagione, per percepire il passaggio di un nuovo convoglio. Se la rotaia vibrava, il treno stava arrivando. Così facevano i pellerossa per programmare gli assalti.
Emersa traboccante la noia, mio padre optò per un vicino cinema. L’unico del paese. Il pomeriggio proiettavano cartoni animati per pochi avventori. Quando uscivo, ad un passo dalla prima serata, (che negli '80 era alle 20:30) c’erano file piuttosto lunghe, in jeans e calzini di spugna per “Top gun” o “Corto circuito”.
“Taron e la pentola magica” riuscì quanto meno a proporsi per la soddisfazione dell’altro, di divertimento. La locandina prometteva già bene con spade, dragoni alati, mostri oscuri, folletti, fatine, lugubri castelli inespugnabili e tutto ciò che poteva solleticarti l’immaginazione per una storia fantasy dal sapore medioevale. Cavolo! E poi era un Disney!
Taron è un giovane guardiano di maiali che la pensa alla mia stessa maniera. Dubito che possa avere qualche nozione sull'esistenza delle ferrovie ma possiede Ewy, una maialina dalle doti soprannaturali. Basta un catino d’acqua e un bastone che la smuova a mulinello e dal musetto immersovi appaiono tenebrose profezie. Un re cattivone, tale Cornelius, vuole impadronirsi di un calderone nero, in grado, essendo magico, di far resuscitare i cadaveri. Il terribile sovrano lo utilizzerebbe per immergervi i resti ossei dei suoi soldati, molti a quanto pare, per creare un esercito di scheletri al fine di regnare egemone su ogni cosa. Ma dov’è la stupefacente marmitta? Lo sa solo Ewy. La porcellina verrà rapita dagli pterodattili modificati di Cornelius e Taron dovrà sacrificarsi per riportarla sana e salva a casa prima che tutto finisca a carte di quarantotto.
Taron condividerà l’impervio percorso con un affamato animaletto di nome Gurghy, la principessa Ailin e il cantastorie munito di una lira scassata Sospirello. Nelle segrete del castello troverà una spada tanto prodigiosa da far impallidire la Durlindana e si imbatterà in un mondo popolato di folletti e orchesse (si chiama così la femmina dell’orco?).
Diretto da Ted Berman e Richard Rich e plasmato da una notevole colonna sonora di Elmer Bernstein, assolutamente adiacente all’ambientazione e alle sequenze, questo film non ebbe molto successo in quanto considerato addirittura troppo pauroso per essere un cartone animato e quindi dichiarato “inadatto” ai bambini. Eresia.
I disegni ricordano molto lo stile dei classici diretti dal trio Geronimi-Luske-Jackson anche se all’epoca li associavo inevitabilmente ai mondi di Dragon’s Lair dove avrò versato badilate di cinquecento lire. Lontano dalle trame e dalle figure esilaranti di Wolfgang Reitherman, in effetti il tutto si svincola in maniera evidente dai canoni favolistici della Disney, ammiccando a quel “Signore degli Anelli” di quasi due lustri prima, diretto da Ralph Bakshi che non era poi così dolce di sale sotto il profilo dell’efferatezza. Comunque nulla che possa rendere drammatico il sonno di giovanissimi rampanti.
All’epoca avevo poco più di otto anni e all’uscita dal cinema mi sentivo come Braccio da Montone. Taron e la sua pentola mi passano ancora davanti agli occhi in formato digitale. Con dolce nostalgia.
I treni mi piacciono ancora. Solo che adesso li subisco.
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