Buone notizie dal pianeta Treacy. Il "figlio illegittimo" di Syd Barrett, giunto al suo decimo album in studio, traccia con forza una precisa linea di confine coi fantasmi e le inquietudini dei precedenti lavori. Da un lato, "My Dark Places"( Domino, 2006), carosello dagli accenni inconcludenti e masochistici; dall'altro, "Are We Nearly There Yet? ( Overground Records, 2007), memorie MIDI dei giorni di prigione.
La prima e sostanziale novità è il ritorno ad un discreto arrangiamento strumentale (finalmente, il povero Dan si deve esser reso conto che la tastiera, da sola, non la sopportavano neanche i fan più oltranzisti) ed una scrittura meno autoreferenziale (perlomeno siamo lontani dal club delle sue ex di una sciagurata traccia di "My Dark Places"). La title-track, leggero arazzo di chitarre e xilofono dai contorni foschi, è il manifesto dichiarato dell'intero album. Arrestare il fluire cieco del Tempo - del Niente - solo con la presa debole ma più che mai salvifica del ricordo ( ottima la scelta per l'artwork della scatola di giochi d'infanzia come corrispettivo visivo di quel recupero). Ecco allora che Treacy sdipana la sua matassa in fragili ballad come " Walk Towards The Light" oppure in canzoni come "She's My Yoko", che col suo chorus incensato suona come uno degli anthem più validi degli ultimi TvP. Il falsetto sussurrato di " Funny He Never Married", su quella che potrebbe essere una melodia compassata dei Galaxie 500, preannuncia le atmosfere barrettyane di " Except For Jennifer". Al giro di boa siamo ancora ad un buon livello di omogeneità. " People Think That We're Stranged", sostenuta da una drum-machine e dall'esile backing vox di Johanna Lundstrom (che per la verità si comporta bene in ogni episodio dell'abum), ci riporta però a livelli mediocri. Non bastasse, s'aggiunge poi il post-punk di My New Tatoo, col suo sterile strascico di brusche distorsioni, per la durata modica di cinque minuti. Forse il momento più infelice dell'intero album. A prevalere, da qui fino alla fine, i toni più lenti. Il mood sommesso di "Come Back To Bed", supplica intimista di un organetto su cui si incidono le voci dell'artista londinese; "The Good Anarchist" , melliflua composizione della Lundstrom datata 2008, riproposta qui in coppia con Treacy; si chiude in sordina col nitore di "All The Things You Are", e " You Freed My Spirit", motivetto sedativo, organo ed armonica, con cui congedarsi dopo cinquanta minuti scarsi di musica.
Forse che ringalluzzito dai tributi che va ricevendo, uno su tutti la canzone degli acclamati MGMT, Dan Treacy stia avvertendo la necessità del non viver più solamente di rendita? Bella domanda. Certamente appare come la più improbabili delle speranze, data l'instabilità proverbiale del personaggio, che non esita mai, di tanto in tanto, ad annunciare il suo ritiro dalle scene. Per lo più in una scena come quella dell'indie pop attuale in cui il contributo dei TvP può ridursi soltanto ad una lezione, quell'estetica naif e revivalista, che sembra da un pezzo già bella e imparata.
Pur tuttavia, "A Memory Is Better Than Nothing" lascia intravedere qua e là dei piccoli segnali di ripresa. Da buoni devoti - quali siamo - non ci resta che sperare. Meglio di niente, no?
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