Senza alcuna ombra di dubbio uno dei capolavori della new wave americana e di tutta la storia del rock, sicuramente da annoverare tra i dischi più importanti ed influenti di tutti i tempi. Emessi i primi vagiti nel 1975 con la pubblicazione di alcuni singoli da parte di etichette indipendenti, la band giunge alla pubblicazione della prima fatica sulla "lunga distanza" dopo due anni, grazie alla forte personalità del leader Tom Verlaine (vero nome Tom Miller, e già il nome d'arte è tutto un programma) ed alla militanza sulla scena del newyorkese CBGB's, indiscusso "tempio" del nuovo rock americano di fine '70, in cui si faranno le ossa, tra gli altri, leggende quali Patti Smith, Talking Heads, Ramones. Il compito di aprire le danze è affidato al turbolento garage di "See no evil"; è l'anno di grazia 1977, e si sente: siamo in piena rivoluzione punk, la "vecchia guardia" del rock ,per così dire, "classico", è abbattuta a martellate con furia iconoclasta dall'immediatezza quasi brutale e senza compromessi dei tre-accordi-e via. Il secondo brano, "Venus", è per il sottoscritto una delle canzoni preferite di tutti i tempi, a cui, per diversi motivi, è particolarmente legato: su uno scintillante tappeto di accordi jingle-jangle, dalle palesi reminiscenze sixties (marca Byrds, per la precisione), si libra una melodia di sfuggevole bellezza, dal testo quasi magico e surreale; ma è soprattutto la cristallina voce di Verlaine ad emozionare, allo stesso tempo seducente ed evocativa. La traccia seguente, la muscolare "Friction", si segnala invece per l'uso del tutto originale ed innovativo della chitarra, che praticamente detta il ritmo di tutto brano, ora caracollante, ora ossessivo, per poi deflagare lancinanti quanto improvvise accelerazioni. Ma è nel lungo episodio della title track che si sublima alla perfezione la particolare cifra-Television: ad una prima parte caratterizzata dal deliquio meccanico e distaccato di Verlaine, ormai primo di qualsiasi connotato umano, sorretto dalla robotica ed inesorabile sezione ritmica, segue un lungo excursus chitarristico che entra di diritto tra i più memorabili assoli di tutti i tempi. Ciò potrebbe sembrare del tutto anacronistico e fuori luogo, in un'epoca in cui qualsiasi cosa assomigliasse seppur vagamente ad un assolo veniva considerata roba da codice penale, e gli ultimi "guitar-heroes" erano costretti a vivere in stato di semi-clandestinità. In realtà in questo non vi è alcun compiacimento virtuosistico, nulla che possa far pensare ad un vacuo e tronfio "onanismo strumentale" (mi si passi l'espressione). Le chitarre di Verline e Richard Lloyd dialogano alla perfezione, in una rara e miracolosa miscela di vigore ed eleganza minimale, tra echi di Velvet Underground ed improvvisazioni alla Coltrane, trascinando l'ascoltatore in un crescendo estatico e quasi catartico, purificatorio, difficile da descrivere a parole. Ciò che però colpisce maggiormente è lo straordinario timbro delle sei corde, che da sofferto, lacerante, dissonante, sa farsi liquido, quasi impalpabile, fino ad arrivare, come osservò Patti Smith, quasi ad emettere versi d'uccelli. Neanche il tempo di riprendersi che giunge la marziale "Elevation", dal cantato gelido ed alienante, che farebbe il paio con "Venus" se non fosse per il ritornello, orrendamente sfigurato, squarciato da taglienti ed inesorabili fendenti di chitarra. "Guiding light", tenue e suggestiva ballata, e l'epilettica "Prove it", dalla ritmica fantasiosa, sembrano finalmente riportare i toni dell'album sulla terra, su toni più umani e rassicuranti. Ma in realtà tutta questa serenità è solo pura apparenza: quello dei Television è un universo malato e straniante, cinico e desolato, senza possibilità di salvezza, in cui la calma è dettata unicamente dalla rassegnazione, dall'ineluttabilità. Lo dimostra alla perfezione la conclusiva "Torn curtain", splendida nel suo incedere lento, maestoso ed allo stesso tempo suggestivo, densa di malessere e spleen esistenziale.

In definitiva un disco irripetibile , trait d'union tra due epoche, miracolosamente in bilico tra vaghi sapori di certo "vecchio" rock (Byrds, Velvet Underground, Jefferson Airplane) e nuove tendenze dell'epoca, fondamentale nell'indicare nuove strade da battere alle generazioni successive (partendo dai R.E.M. per giungere ai Radiohead, passando per i Sonic Youth). O forse più semplicemente un disco senza tempo, come tutti i veri capolavori.

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