Mamma mia quante band che nascono come funghi, si fa fatica a stare dietro all’intero movimento, ecco il motivo per cui ho perso diversi anni a riascoltare per la trecentesima volta le stesse band che ascoltavo nel 2010. Dal 2020 in poi però qualcosa è scattato in me e mi sono sentito in dovere di approfondire una bella collezione di band affermatesi nell’ultimo decennio o di band importanti del passato che avevo colpevolmente ignorato, non che i miei peccati siano del tutto espiati eh.
Difficilmente tendo l’orecchio verso band al primissimo album, probabilmente non mi affascina granché l’idea della discografia incompleta, della mancanza di un percorso, se lo faccio è perché c’è dentro qualche nome già a me noto e caldo e voglio vedere cosa combina in questa nuova avventura. Ho voluto così ascoltare i Temic dopo aver letto della presenza di Diego Tejeida, l’ex-tastierista degli Haken, che io reputo “un Jordan Rudess che ha molto più coraggio di osare”, la cui mancanza si sente davvero nell’ultimo disco della sua band passata. In formazione c’è anche un altro nome noto, quello di Eric Gillette della Neal Morse Band, con la differenza che questo non mi faceva da stimolo dato che non mi sono mai avventurato nella discografia di questa band.
Non c’è molto da dire o da snocciolare, l’esordio dei Temic è assolutamente convincente senza essere rivoluzionario, attinge da buona parte del moderno prog-metal e non disdegna il djent, è un disco in un certo senso “alla moda” ma nel senso buono del termine, ha chitarre taglienti e decise, così come altrettanto affilate e massicce sono le parti di basso, dalla combinazione basso-chitarra ne esce fuori un mix piuttosto letale; tutto questo ben alternato con parti più lente ed angosciose, con atmosfere grigie e cupe ma senza esagerare, non c’è da aspettarsi il disco extreme prog-metal, c’è un buon bilanciamento delle due componenti, in generale l’album ha anche una buona impostazione melodica, segnata anche da buone parti vocali. Tutte le tracce giocano più o meno su questo bilanciamento (fatta ovviamente eccezione per la lenta e breve traccia introduttiva) ma la centrale “Acts of Violence” si divide proprio in due, talmente lenta e angosciosa nella prima metà tanto diretta e tagliente nella seconda. Le due tracce invece più estreme e affilate, quelle che suonano proprio come due frustate sono “Count Your Losses” e la strumentale “Friendly Fire”. Il lavoro di batteria non esclude tecnicismi di buona fattura… e poi c’è il lavoro delle tastiere: quando Diego entra in azione si sente senz’altro che è lui, con il suo stile tamarro e aggressivo, fatto di elettronica pesante, passaggi granitici e assoli striduli e acidissimi; non c’è spazio per il suo lato più giocoso e spiritoso che tirava fuori negli Haken semplicemente perché lo stile dei Temic non lo prevede, in compenso però scopre un lato angoscioso che di lui non conoscevamo (e forse nemmeno lui stesso conosceva), anche nei momenti più lenti il suono appare ispido e ricco di riverberi irrequieti; diciamo che se vi era piaciuto “Vector” degli Haken non dovreste avere problemi ad entrare in sintonia con il suo lavoro in questo album, così come in generale vi dovrebbe piacere l’album nell’insieme.
Vorrei chiudere con una riflessione che l’ascolto dell’album ha risvegliato in me: quando ascolto un disco prog-metal dell’ultimo decennio ciò che noto è un generale indurimento verso l’estremo, tendente quasi sempre al djent, e una melodia presente sì ma non brillantissima e struggente come nei decenni passati. Si tratta di evoluzione naturale di un genere, ed è giusto che ci sia, io stesso promuovo l’innovazione e la ricerca continua, ci sono cose interessantissime e fresche… ma a livello melodico ed emozionale rimarrò sempre legato alla prima ondata prog-metal, quella anni ’90 e 2000: quelle chitarre di derivazione power, quelle aperture melodiche profonde di estrazione AOR, quelle tastiere brillanti di ispirazione anni ’80; i vari Dream Theater, Shadow Gallery, Vanden Plas, Threshold, Royal Hunt, Symphony X, Dreamscape, Andromeda, Pagan’s Mind, tutte band innovative per i tempi e ormai superate, dalle quali ora non ci si aspetta più il disco rivoluzionario (i più imminenti in arrivo sono i Vanden Plas e so già di aspettarmi un disco manierista ed ordinario), ma le loro melodie erano incredibili e la nostalgia viene sempre… però dobbiamo metterla da parte.
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