Il soffice addormentarsi della natura autunnale. In contrade acquitrinose, dai mistici contorni, tra boschi di vecchi ontani popolati dalle creature della notte che sospirano tristemente nenie nostalgiche. Calore acustico, voci profonde, timide tastiere come farfalle spaventate, talentuose percussioni avvolgenti. Ed ancora l'idioma ugro-finnico, cantilenante, aspro e soave allo stesso tempo, narrante liriche delicatamente trasognate. Un unico coro che celebra all'unisono il sopraggiungere del letargo piu`lungo e sofferto.
"Kauan" proviene da una contea, il Lappi, selvaggiamente ancorata a sei mesi di un inverno spietato, dalle gelide brezze ululanti, dalla morte"nera"di una notte senza fine. Il quartetto di Kemi, al debutto dopo il prezioso demo "Hallavedet", rivela una maturità sorprendente, una debordante capacità di unire elementi etnico folkeggianti alle soffocanti trame dark fino ad arrivare alle virate tempestose tipiche di certa musica classica di finnica memoria(Sibelius). Il suono della band esalta il tepore mistico del focolare, dell'ancestrale richiamo al fascino di foreste impenetrabili, un soave tuffo in un passato a lungo anelato e, forse, perso per sempre. Sensazioni di sconsolato dolore si susseguono vorticose nella ballata d'apertura"Näkin laula", una pioggia di chitarre classiche lentamente avvinghiata a percussioni "scoraggiate", mentre il sospiro del cantante/narratore ci trascina in una galleria di dolci malinconie. "Huomen"esplode folkeggiante, il soffio acustico iniziale ammalia teneramente per poi lasciare spazio a keys struggenti ed epiche. La sorpresa arriva da un chorus seducente che innalza leggiadro melodie come ricami di soffice seta. L'aspetto darkeggiante nella proposta dei nostri si addentra sinuoso nelle successive "Revontulet"e "Hallavedet" dove compaiono viloncelli dalle armonie tormentate ed il cantato si fa profondo e tenebroso. Ancora una volta la il tappeto sonoro creato dal lavoro chitarristico stupisce per efficacia ed eleganza atmosferica. Con "Lauluni sinulle"la band finnica stempera il lato piu`cupo districandosi in un pezzo folk dalle ritmiche veloci unite alla freschezza acustica della sei corde, il tutto contornato da un singing ispirato che libera un ritornello di gran classe. L'immediatezza di questa traccia introduce ad un finale buio ed oscuro dove pianoforti litaniosi duettano con un violoncello alienante e completamente perso in una sofferenza inconsolabile. Mi riferisco alle sinfonie di chiusura "Taival" e "Souto", gemellate da tristezze senza pause, monotone e soffocanti nell'incedere lentissimo, una sorta di "doom" acustico. Bagliori di musica classica ci ipnotizzano, ci trasportano nel regno della nebbia ai piedi del castello di Pohjola(dall'epos nazionale Kalevala), l'anima musicale del compositore classico J. Sibelius lentamente si insinua nelle note del gruppo e la componente nazional-romantica raggiunge l'apice emotivo. L'opera si chiude nel silenzio, annunciante il lungo sonno senza sogni di un inverno dalle carezze glaciali.
Un sospiro che cristallizza il cuore e i pensieri. Ed anche le lacrime.
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