Il nome di Terence Blanchard ai più non dirà molto, ma ai cinefili si sarà subito accesa una lampadina: sì, è proprio lui, l'alter ego musicale del grande Spike Lee, autore di molte ottime colonne sonore da "Malcom X" alla "25th Hour". Egli è anche un jazzista di rango, valente trombettista, che agli inizi della carriera ha suonato con star del calibro di Lionel Humpton e Art Blakey. Nel 1989 poi comincia la sua proficua collaborazione con il regista neyorkese, prima partecipando alle soundtrack di "Fa' la cosa giusta" e "Mo' Better Blues", poi componendo per la prima volta musiche originali per il cinema con "Jungle Fever". Il binomio ritorna insieme per un'occasione tremenda, il documentario "When The Leeves Broke" di Spike Lee, con il quale, con il suo stile asciutto, duro e diretto, egli racconta le devastanti conseguenze su New Orleans dell'uragano Katrina e quali immani tragedie possono avvenire quando al fato avverso si uniscono l'insipienza, l'imbecillità e la malafede degli uomini.
"A Tale of God's Will (a requiem for Katrina)" è la musica del film-documentario e, come capita solo alle migliori colonne sonore, brilla di luce propria, emoziona e commuove pur senza lo scorrere delle drammatiche sequenze. Il quintetto jazz di Blanchard infatti, che vede al piano Aaron Parks, al sassofono Brice Winston, al basso Derrick Hodge, e la batteria Kendrick Scott, riesce a rendere l'inquietudine che si trasforma in terrore, la preoccupazione che diventa panico, l'incredulità e il senso di abbandono che virano in rabbia e sconforto. Alla riuscita descrizione dei diversi momenti del dramma dà un contributo essenziale la scelta di Blanchard di aggiungere il contributo di un'orchestra, The Northwest Sinfonia, da lui stesso diretta.
"A Tale of God's Will (a requiem for Katerina)" è composto da 13 brani, ognuno dei quali serve a descrivere un fase della tragedia raccontata dal documentario, ma la struttura portante dell'opera è costituita da quattro di essi, "Levees" - "Wading Through" - "The Water" - "Funeral Dirge", che hanno una stessa melodia, ma che è arrangiata in modo differente, per descrivere gli atti principali del dramma. L'introduzione e il finale di "Levees" sono affidati ad un'orchestra d'archi ma protagonista è la tromba gershwiniana di Terence: le foglie si staccano, disegnando funerei presagi, l'intensità del vento aumenta e il livello dell'acqua sale rapidamente; gli archi cedono il posto alla tromba che sembra lamentarsi, chiedere invano aiuto, come tanti abitanti di New Orleans dai terrazzi e dai tetti delle case, divenuti gli unici, insicuri rifugi.
In "Wading Through" è il piano di Parks a far quasi toccare la tensione crescente, immaginare la fuga disperata, una suite di gran pathos, arricchita dall'arrangiamento orchestrale che rende i toni ancor più disperati. "The Water" è frutto dell'immagini che la CNN dava 24h/24h della sua città, Terence era fuori per lavoro nei giorni di Katrina, l'impressione angosciante che destava quell'incredibile quantità d'acqua che assediava New Orleans, quell'acqua che da madre premurosa si trasformava ancora una volta in terribile matrigna; il crescendo degli archi dà la misura dell'elemento che prende possesso di ogni strada e la tromba cerca di dar voce all'afflizione, alle forze sempre più fievoli, alla resistenza che cede il passo alla rassegnazione. "Funeral Dirge" è il brano più intenso, un omaggio alle vittime del disastro, un modo di dar loro idealmente, soprattutto ai tanti dispersi, una degna sepoltura; una marcia funebre che cresce, come il tono della tromba, che tenta di dar voce a tutti, coralmente, in afflato che ha qualcosa di epico.
A questi quattro brani, si aggiungono i "fantasmi": quello di Betsy, un altro devastante uragano che si abbattè nel '57 e che il musicista ripesca nei suoi traumatici ricordi infantili insieme ai suoni hard-bop di quell'epoca; c'è anche il "ghost" del '27, altro monito che giunge dal non troppo lontano passato, altro uragano, musicalmente una breve ma intensa improvvisazione di sapore quasi free; c'è infine quello di Congo Square, che apre l'album, con i ritmi afro, le cadenze sincopate e i cori propri delle tipiche street band della città, e gli assoli della tromba di Terence a consolidare la memoria culturale e musicale delle sua città, quasi temendo possa anch'essa essere trascinata via.
Anche gli altri membri della band di Blanchard danno un fondamentale contributo compositivo Parks in "Ashe'" melodia, intrecciata dal piano e dalla tromba, che accompagna il ritorno del sole e la ripresa della vita e delle speranze. Wiston con il suo sassofono con "In Time of Need" filtra la sua rabbia e la sua frustrazione, pervenendo a toni elegiaci. Scott, il batterista, fa salire al cielo il suo "Mantra", che rinvigorisce, ritempra. Hodge dà il meglio di sé in "Over There", melodia malinconica ma che fa pensare alla vita che riprende, alla capacità di saper guardare "oltre" la desolazione e il paesaggio di morte. "Dear Mom", infine, è uno dei brani più commoventi, che Terence dedica alla madre che ha perso anche lei la sua abitazione a causa degli allagamenti; un piccolo portento di equilibrio e capacità espressive.
Terence Blanchard, con questa intensa e appassionata colonna sonora, si conferma uno dei musicisti e compositori più interessanti e talentuosi, non solo jazz, del panorama attuale e uno strumentista eccelso, da affiancare come bravura e sensibilità ai migliori della scena attuale.
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