L'hard rock dei 70 ha avuto i suoi mostri sacri (inutile citarli), quello degli 80 ha visto la nascita di nuove armi per la conquista di donne (Whitesnake su tutti), mentre quello dei 90 rappresenta la selezione naturale. Quando si diventa troppi e nuove specie invadono minacciose la scena, le major procedono ad un disboscamento selvaggio e casuale. Saltano fondi, contratti e produzioni. Un genere prende la via dell'estinzione nella realtà e quella delle "oldies" nelle rotazioni della tv reality. Ma tra i fusti di quercia rimasti sempre splendidamente in piedi c'è quello robusto e nodoso dei Tesla, band californiana che non ha conosciuto mai crisi dal punto di vista della produzione e che, oggettivamente, non credo abbia mai tirato fuori un disco che si potrebbe valutare con meno di quattro pallini. O pallottole?

I Tesla di cui vi voglio parlare sono nel loro periodo più florido e hanno già pubblicato due album in studio. Il primo nel 1985, Mechanical Resonance, biglietto da visita hard rock laccato di blues nel sound e di street nella produzione. Il secondo nel 1989, The Great Radio Controversy, in cui i nostri hanno continuato a calcare la mano sul compattezza dell'hard rock, prendendo una strada decisa e abolendo le minime contaminazioni modaiole e glamour dell'epoca. D'altronde, un passato on stage al fianco dei Dokken e di David Lee Roth - per citarne alcuni -, la produzione delle loro prime demo affidata alla legenda Ronnie Montrose e la firma sin da subito per la Geffen, che ha sempre mirato più al rock duro di qualità, rispetto alle tendenze sleaze, non poteva lasciare dubbi. Con queste credenziali i Tesla arrivano nel 1991 al momento verità: una volta sellato il cavallo, con cinque anni di preparazione dove la tecnica si è andata sempre più affinando, i ragazzi sono pronti per il "now or never". E la risposta è forever.

Un'ora netta di grande, sorprendente, articolato, sfaccettato, ricco, ben assemblato hard rock di primitiva forgia, che ci mostra i ragazzi di Sacramento nella loro forma migliore sia per la fase compositiva (partiture e songwriting da maestri artigiani dell'hard rock), sia per quella creativa e, se vogliamo, anche per quella enciclopedica. Padroneggiare un genere significa vivere con le mani costantemente calate sugli arnesi del mestiere e la testa impegnata ad incamerare, assorbire e rielaborare suoni per tirare fuori un prodotto di qualità. L'universalità di Psychotic Supper è il suo miglior pregio. È un disco di convergenza in cui le principali correnti del genere fanno conoscenza rispettandosi e trovando immediatamente i giusti equilibri per una convivenza pacifica. Notevole, infatti, è la strategia nella selezione della tracklist. Messi in fila in questa maniera, i 13 massicci brani dimostrano che la parola casualità non si è mai affacciata nella mente di nessuno abbia partecipato alla realizzazione del disco. Una muraglia sonora con fondamenta studiate da ingegneri del suono, eretta per difendere un genere e custodirlo gelosamente negli anni. Obiettivo raggiunto davvero alla grande.

Si parte con Change in the weather, insolita opener per un album hard rock, che farebbe immediatamente felici i fan di gruppi come i Molly Hatchet: si inizia a ritmo di country/southern, in un dispositivo ben congegnato e collaudato per durare un'ora. Chitarre solide e ben strutturate tengono il tempo rendendosi la vita difficile alla continua ricerca del riff complesso nel ritmo. Gli assoli vengono fuori a grappoli e sono tutti alternanze di virtuosismo e bestialità della durata di diversi secondi. Con Edison's Medicine prende piede l'hard rock marchiato Tesla. Brano culto per la band, il secondo dell'album contiene la scelta musicale che più ha caratterizzato il gruppo. È da qui in poi che si può parlare a buon diritto di un Tesla sound non più in fase embrionale. Poi c'è Don't De-Rock Me. Interrompo il ritmo con un punto perché bisogna sempre tirare il fiato dopo un pezzo del genere. Un rock così hard che può definirsi intimo amico dell'heavy. Jeff Keith scartavetra la sua voce ancor di più per l'occasione e arriva al corto circuito sonoro insieme a tutti gli altri componenti lanciatissimi in un brano pestaduro, nel momento in cui partono 3 sessioni di assolo sconvolgenti. Mai sentito un rock così duro in vita mia. Si riprende aria con Call It What You Want dal piglio melodico e roco, brano per hardrockers dal cuore tenero. Altra imperitura composizione dei Tesla è Song & Emotion, ballad carica di un pathos drammatico che conferma un ricercato uso di elettricità ed acustica, per un suono complessivo molto plastico che cede spazio alla ruvidezza solo nei momenti apicali di ogni canzone. Time è un brano, sicuramente l'unico, vittima d'infiltrazioni street seguito dai pochi secondi acustici che svolgono il ruolo di intervallo, di Government Personnel. Quando inizia il secondo round c'è subito Freedom Slaves, hard rock investito da correnti ascensionali che portano il genere sull'orlo del suo stesso essere, davanti ad un burrone di cui non si vede il fondo. Had Enough è un rock duro da motel, da vivere in jeans e camicia di flanella. Ha il compito di precedere What You give, la vera ballad di Psychotic Supper, che parte dalla voce raspante di Keith e da un accompagnamento acustico tremendamente coinvolgente, per arrampicarsi fino a una magnificente ed esplosiva orchestrazione di suoni che decretano il giusto successo (anche di classifica) di un brano dalle nobili origini. Dopo questa song, inevitabilmente cala il livello d'attenzione ma non scende di un millimetro la qualità. Dopo 10 canzoni i Tesla hanno già dimostrato quanto dovevano e si concedono tre brani più easy, distesi e da ascolto in moto, come piace dire a me. Tra Stir It Up e Toke About It io preferisco Can't Stop, hard rock scatenato che ha ceduto alle avances melodia.

Circa 130 i concerti per il tour che ha seguito il disco. Hard rock per defender. Disco praticamente imperdibile.

Carico i commenti...  con calma