Diciamolo... La tranquillità i Testament l'hanno persa da anni... Forse da troppo... Forse da talmente tanto che chiunque avrebbe mollato... Una qualsiasi altra formazione si sarebbe stancata e avrebbe detto "grazie, è stato bello, arrivederci".

Tra cambi di line-up più frequenti delle piogge autunnali, ripensamenti, malattie che hanno debilitato i vari membri per svariati periodi (e tuttora), direzioni stilistiche dubbie e criticati ma coraggiosi tentativi d'evoluzione musicale, i nostri non hanno avuto un attimo di calma dal 1990 in poi. Dire che gli anni novanta siano stati anni difficili per i Testament è un eufemismo. Infatti, sembra quasi che nei precedenti anni 80 i nostri abbiano lasciato quel equilibrio personale e quella liberta musicale che aveva influenzato e contraddistinto capolavori thrash come 'The Legacy', 'The New Order'. Passati negli anni 90, quasi come fossero vittima di un "millennium-bag anticipato" (e certamente non aiutati dal periodo nero che stava passando il metal in generale e il thrash nello specifico), quell'equilibrio si spezzò definitivamente e lasciò il gruppo alla deriva nel mare delle "accessibili sperimentazioni" (vedasi 'The Ritual'). I nostri però resistettero e, nel bene o nel male tentarono di ricercare in ogni direzione quel equilibrio perduto. Guardarono verso la melodia ('Soul Of Black' e il sopraccitato 'The Ritual') ma non lo trovarono, quindi, dopo aver cambiato diversi membri (tra i quali il grande Skolnick), decisero di puntare verso un'estremizzazione sonora e il risultato fu il riuscito 'Low' che denotava un deciso ritorno alle sonorità aggressive degli esordi con un adattamento moderno e una sbirciatina curiosa verso un'estremizzazione al limite del Death.

Sembrava quasi che la ricerca fosse finita, che l'equilibrio fosse tornato (grazie all'entrata del virtuoso chitarrista James Murphy e del dinamico batterista John Tempesta), che anche i fan, delusi dai lavori precedenti, avessero gridato alla resurrezione miracolosa. Ma la sfortuna ghignava dietro l'angolo. L'ennesima instabilità, l'ennesima perdita di tranquillità (che portò all'abbandono, per cause artistiche e divergenze personali, di Murphy, Tempesta, del suo sostituto Dette e del membro fondatore Christian [basso]), portarono ad una crisi senza precedenti che sfociò nello scioglimento del gruppo del 1996.
Ma lo spirito del gruppo non si diede per vinto... dopo una parentesi con i Dog Faced Gods, Chuck Billy e Eric Peterson si rimboccarono le borchie... em... le maniche e rifondarono il gruppo chiamando alla propria corte i bravi Glen Alvelais (chitarra), Derrick Ramirez (basso ex loro chitarrista degli esordi) e sua maestà Gene Hoglan dietro le pelli. Il risultato di tutto questo fu 'Demonic'.

Figlio della frustrazione, della rabbia e della sofferenza, "Demonic" si presenta come il più brutale e insano lavoro del gruppo, dove si percepisce totalmente il malcontento e la disillusione rivolta al passato unita a una malata consapevolezza di volontà di rinascita. Atmosfere grigie, dolorose e malsane, dall'indole più rassegnata che minacciosa (quasi delusa, come a voler dire: "ci avete fatto arrabbiare e allora adesso noi vi puniamo!") si uniscono maleficamente a passaggi infuocati e deliberatamente violenti, sintomi di un aggressivo malcontento dominante.

Musicalmente senza compromessi l'album è la, non del tutto naturale, continuazione di quanto il gruppo aveva fatto con il precedente 'Low'. Prosegue, estremizzandolo, l'avvicinamento alle sonorità Death Metal accennate in quel lavoro, appesantendo ulteriormente il sound per creare un impenetrabile muro sonoro. I tempi rallentano in una densità mai sperimentata dal gruppo e quasi tutti i pezzi si presentano come mastodontici e brutali mid-tempo contraddistinti da un pesantissimo lavoro di chitarra ritmica e da un incredibile e dominante uso del cantato growl da parte di Chuck Billy. In una "demoniaca" mistura di stili si contraddistingue comunque la vena assolutamente Thrash che i Testament riescono a donare ad ogni traccia, mescolando il tutto al più "quadrato" Death americano e con un minimo (e involontario) occhio di riguardo verso il Melodic-Death europeo.
L'omogeneità forse eccessiva delle composizioni risulta essere forse l'unico punto debole di 'Demonic' e rende quasi inutile una descrizione track-by-track del lavoro che si presenta tesissimo e apprezzabile in ogni sua parte. Da sottolineare comunque "Demonic Refusal" con il suo incidere apocalittico, la paranoica "John Doe", l'incredibile assalto di "Murky Waters" e la disperata "New Eyes of Old" (mentre "Hatred's Ride" sembra l'ideale contatto tra il 'Low' e quest'album).
La prestazione tecnica dei vari elementi è come al solito precisa ma, i più attenti, noteranno come Gene Hoglan, pur contribuendo sicuramente all'indurimento del suono, non sia alla sua miglior prestazione, donandoci una lavoro di batteria senza infamia e senza lode.
In definitiva, considero questo album un disco di transizione nella carriera dei Testament, necessario per la nascita di quel capolavoro che è il successivo 'The Gathering', e assolutamente riuscito. Non sarà il miglior disco del gruppo, non sarà un disco innovatore o un capolavoro assoluto ma risulta uno degli album più spontanei e sentiti dei Testament, figlio inconsapevole della disperazione del momento e velato di una "drammaticità" mai presente e che non si ripeterà mai più.

Il suono della rabbia, per un gruppo a cui molte volte la fortuna ha voltato le spalle... Ma, come diceva Signorelli, forse è la maledizione dell'essere metallari fino in fondo... "si tende alle stelle, ma si rimane sempre e comunque con i piedi impiantanti nel fango".

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