Non c'è 2 senza 3... Eeeh già... Peccato che nessuno se ne accorga.
Diciamolo... In campo musicale nulla è concesso. In molti casi il successo di un gruppo (e l'apprezzamento per il gruppo stesso) è direttamente proporzionale alla sua staticità.
Guai a cambiare qualcosa, guai a suonare diversamente, guai a tentare sperimentazioni (sempre che queste non siano talmente radicali da risultare rivoluzionarie) e guai a sviluppare soluzioni musicali diverse.
Con questa premessa (e convinzione) mi accingo a recensire quello che considero uno dei migliori album Thrash Metal di fine anni ottanta targato Bay-Area: il controverso "Practice What You Preach", terzo lavoro dei Testament.
Perché controverso?
Forse perché veniva dopo quei due capisaldi Thrash che furono "The Legacy" e "The New Order"? No! Forse perché cercava di imitare il suono dei più famosi Metallica (tra l'altro cosa che considero assolutamente non vera)? No! Forse perché sembrava strizzare l'occhiolino a certe soluzioni "easy listening" che vennero interpretate come un tentativo di rendere il tutto più "abbordabile"? No (e basta cazzo...)!
Controverso semplicemente perché in pochi furono in grado di capire il vero intento che i Testament si prefiggevano sin da quando si formarono nel 1983 con il nome di Legacy: cercare di proporre una musica devastante, veloce e aggressiva (in linea con il movimento Thrash) ma introducendo una "sensibilità melodica", che mai nessuno aveva proposto prima (almeno nella Bay-Area). Riuscire nell'intento dei grandi artisti dell'Heavy Metal: fondere brutalità e melodia in un unico, bollente, calderone musicale.
Il loro debutto, nel 1987 fu uno dei più devastanti e osannati della scena Metal mondiale, che poggiava su violentissime e velocissime basi Thrash ma che, al contempo, presentava una band affiatata, originale, piena di idee, con una capacità incredibile di svilupparle e con una maturità che nessun'altro gruppo aveva dimostrato al debutto su disco... Già si capiva però, con canzoni come "Alone in The Dark", la diversità nell'approccio armonico che differenziava i nostri dalla maggior parte dei gruppi coetanei e conterranei. Il successivo "The New Order" da molti venne visto come una riconferma del sound del precedente lavoro, ma, ai più attenti, balzo subito all'orecchio il tentativo di sviluppo evolutivo tentato e centrato dai nostri: rinvigorire il tutto in una sintesi aggressiva di tonalità decise e quadrate, con un ammorbidimento dei suoni a cui corrispondeva uno smussamento delle caratteristiche taglienti e "grezze" del mitico esordio (la melodia risulta molto più facente parte del DNA delle canzoni rispetto ai lavori dei cugini Metallica e non si limita a stacchi improvvisi messi qua e là).
Ma è con questo loro terzo disco che i Testament fecero il passo decisivo verso la ricerca sonora, tendente alla forma canzone, iniziata con i precedenti lavori.
Diciamo che per i fanatici del Thrash (e dei precedenti album) fu un bel colpo... Il "viaggio sonoro" dei Testament venne presto infangato da accuse di alto tradimento finalizzato al lucro e molti rimpiansero i "vecchi" lavori.
Non fraintendiamo però... L'album in questione non è assolutamente "facile". Non ci troviamo di fronte ad un lavoro di semplice assimilazione o di morbide sonorità... La sfrontatezza e il veloce e brutale assalto frontale sono caratteristiche che non abbandonano i nostri (a riguardo sentitevi la tesissima Title-Track), si può dire soltanto che in questo lavoro troviamo, nascoste qua e là, venature Heavy che si alternano a rasoiate Thrash mescolate assieme a parti melodiche e molto varie che si concentrano nelle ritmiche della batteria di Louie Clemente e nel possente lavoro chitarristico a tratti veramente entusiasmante (ricordiamoci che i Testament annoveravano nelle loro fila uno dei migliori e più talentuosi chitarristi del tempo, tale Alex Skolnick, successivamente nei Savatage ed in una miriade di progetti rock).
Con questo "Practice What You Preach" ("Pratica Ciò Che Predichi") i Testament fanno proprio ciò che predicavano celatamente fin dall'inizio, tentare di arrotondare le spigolature del Thrash per ricavarne una musica rivolta ad accontentare tutto l'esigente popolo Metal.
Il lavoro risulta veramente molto vario: momenti frenetici di alta scuola Thrash (la title-track e la violentissima "Sin Of Omission"), assoli neoclassici dagli incredibili equilibri melodici (ad opera del grande Skolnick), richiami Rock oriented ("Perilous Nation"), rilassamenti malinconici "mutevoli" ("The Ballad", una canzone che potreste far sentire a vostra nonna per poi vederla ribaltarsi sulla sedia a dondolo), sfuriate al limite del Punk-Hardcore (la velocissima "Nightmare") e ritmiche strumentali profonde e sclerale ("Confusion Fusion").
Le linee vocali di Chuck Billy, sebbene a volte si avvicinino pericolosamente allo stile di Hetfield, risultano decisamente più duttili e dinamiche (nonché varie e personali) rispetto al suo più illustre collega (in questo lavoro si sentono i primi accenni di growl che contraddistingueranno le più recenti uscite).
L'unico neo "formale", a detta del sottoscritto, sta nella monotona produzione che non sottolinea pienamente lo sforzo compositivo fatto dal gruppo.
In definitiva quest'album non sarà potente, aggressivo e grezzo come i suoi incredibili predecessori (e questo non so se sia un bene o un male... decidete voi) ma risulta piacevolissimo e molto ispirato, e non si può certo dire che in questo disco i Testament tradiscano gli intenti, le prospettive e gli ideali della loro musica.
Successivamente i nostri si perderanno nel periodo più buio della loro carriera, contraddistinto da costanti stravolgimenti di line-up e da una decisa, ostinata e a volte eccessiva ricerca della "forma canzone" che porterà il gruppo a sperimentare soluzioni non sempre riuscite (soprattutto con il criticato "The Ritual")... Nel lungo periodo riusciranno comunque a riprendersi e a sfornare uno dei migliori lavori Metal di fine millennio ("The Gathering") per poi lasciare noi fan con la bava alla bocca nell'attesa di un nuovo e apocalittico ritorno.
Practice What You Preach rimane comunque l'ultimo grande tassello Metal dei Testament anni ottanta, che non sfigura accanto ai suoi predecessori (anche se diverso) e che risulta uno dei pochi tentativi di rinvigorire e rivalutare un suono (il Thrash) che in quegl'anni (1989/90) iniziava pericolosamente a scricchiolare e sgretolarsi proprio a causa della sua staticità.
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