Il viaggio attraverso il bosco degli sconsolati, il vagabondare all'alba di un sole pallido e stentoreo che prova a riscaldare alberi intrappolati dai tentacoli dell'inverno boreale. Queste chitarre piangono, non smettono un attimo di lacrimare, si muovono pachidermiche nella fanghiglia sonora di cento lunghi autunni, dipingono gli affreschi della decadenza, così sottili e delicate nel descrivere timidi sentimenti di amore ed ansia.
Questo lavoro dei tristi bardi di Trondheim rappresenta l'estetica al servizio di sensazioni emotive che vorrebbero silenzio ma che qui magicamente godono delle melodie crepuscolari di uno degli indiscussi capolavori del metal scandinavo. Tutti gli elementi inseriti dall'allora sestetto norvegese servono a creare un patchwork mirabile, languidamente sospeso tra la malinconia insostenibile del riffing e la seduzione madida di sentimento della dolce-sciamanica-tenebrosa Kari.
Il doom serve ai nostri da base per creare un'opera ancestrale, ancorata a disperatamente al passato di un folk scuro ed onirico ma investita da piacevoli brezze di psichedelia coniugate a sognanti vocalizzi femminei per assaporare una tenue speranza futura.
"Why So Lonely" e "Death Hymn", le cattedrali del suono piovoso dei nostri, si ergono a statue che guardano verso il basso, celebrano il sospriro della solitudine, della vita nella foresta lontano dai centri abitati, sono inni pagani di incredibile dolcezza e calore. Le leads abbracciano teneramente vocals sospirate, ora portandoci verso orizzonti dallo sguardo triste ,ora asciugandoci le lacrime come brina dagli occhi stanchi.
In "Shaman" i cori della Rueslåtten avvolgono lunghe cavalcate di chitarre tenebrose e toms ritualistici per un pezzo dalle atmosfere cariche di misticismo, mentre le perle "Vandring" e "Lengsel" celebrano l'amore verso la musica tradizionale, affreschi bucolici di una fanciulla vichinga sospesa tra il fascino solenne di montagne a picco e lingue nebbiose avvolgenti villaggi solitari.
Ma è in "Oceana" che io mi prostro di fronte a cotale dimostrazione di talento, un vortice di sensazioni chiaroscure, dominate a dalla tipica freddezza dei riffs norvegesi, così vicini al rumore del vento tra i pini..., scandite dal soliloquio ombroso della sirena al microfono, cesellate ed arricchite da sperimentazioni fusion-ambient di classe cristallina. Lo sciabordare delle acque nel finale ci culla fino a chiudere gli occhi per sognare tramonti lontani ed irraggiungibili.
Vi lascio a questo capolavoro senza spendere ulteriori parole sull'apporto artistico che donò ad un'intera scena, invitandovi a carpirne l'essenza emotiva, a raggiungere il climax sognante ed esotico che tali suoni possono provocare. Mugghiano i venti del nord.
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