È incredibile, quasi sconvolgente, che esistano dei dischi che sono rimasti nei cassetti delle case discografiche per anni… 35 nel caso di questo “Rolled Gold”, unico album-“non-album” dei londinesi The Action.
Il gruppo è attivo fin dal 1963 con l’acronimo di The Boys, suona un grezzo rhythm and blues, cavernicolo, come viene definito dalle pochissime testimonianze dell’epoca. La band si evolve, cambia nome (che diventa il definitivo The Action), dopo un singolo ben riuscito nel 64, ed ai quattro membri originali Alan "Bam" King (chitarra), Reg King (voce), Mike Evans (basso) e Roger Powell (batteria) si affianca Pete Watson (chitarra); il suono resta ruvido e poderoso, ma abbraccia il soul (quello nero americano più di quello “northern” inglese) permettendo loro di diventare una delle tre band preferite dalle orde di Mods che invadevano sempre più le strade ed i club della capitale (e scusate se le altre due erano The Who e Small Faces).
Non passano inosservati e George Martin, produttore dei Beatles, li mette sotto contratto per la sua neonata etichetta Air, patrocinata dalla Emi, riuscendo ad ottenere per la band dei fratelli King il contratto per due 45 giri. A questi se ne affiancheranno altri quattro, senza mai far decollare il gruppo nelle classifiche di vendita.
Dal 65 al 67, anno in cui si scioglieranno, il loro sound è in continua evoluzione e trasformazione, fino ad arrivare a liquefarsi nella nascente scena psichedelica. Ma un uscita discografica su lunga distanza rimane un miraggio. Registrano il demo-tape di “Rolled Gold” agli inizi del 1967, ma questo non interessa minimamente alla Emi/Parlophone, che non lo produce, mettendo di fatto la parola fine sulla storia del gruppo, che nel frattempo aveva aggiunto nelle sue fila anche il tastierista/multistrumentista Ian Whiteman. Reg King lascia per inseguire la carriera solista con alterne fortune e gli altri componenti si trasformano nel progetto psichedelico Mighty Baby.
L’etichetta Reaction Musik nel 2002 da, finalmente, vita a questo “dimenticato” regalandoci una quindicina di tracce, che testimoniano di una band matura, impegnata ed ispirata, senza la carica rabbiosa dei singoli precedenti ma con una consapevolezza nei propri mezzi ed una lucida visione del risultato che volevano ottenere strabiliante. Completamente calati nelle istanze di rivoluzione/liberazione culturale che li circondava, The Action sembrano volerne sperimentare le migliori soluzioni, restando però sempre fedeli, più di qualsiasi altra band, alle proprie origini, per cui anche il jingle-jangle dei Byrds, suona 100% british come in “Come Around” (una collisione fra il gruppo di McGuinn e Crosby con gli Hollies di Nash) o nella sentita “Little Boy” (esempio cristallino di quello psych-pop inglese che aveva nei Tomorrow o nei Kaleidoscope i suoi alfieri).
La stagione dell’Amore trova in “Love Is All” un esercizio di progressive abbondantemente in anticipo sui tempi, che “claustrofobizza” le migliori menti della Bay Area (Jefferson Airplane, Country Joe ed i losangelini Love) dentro alle visioni dei futuri Jetrho Tull, tanto che nel fraseggio tra voce e chitarre compare pure il flauto. “Icarus” sembra voler indicare a Townsend la strada da intraprendere per il suo “Tommy”, mentre la radice beat viene allucinata in “Really Doesn’t Matter” o dilatata nel power-psych-pop “I’m A Stranger”.
Discorso a parte meritano le tre perle del disco, “Something To Say” è un perfetto brano di american-indie della seconda metà degli anni 80, dove sembra abbiano studiato i R.E.M. o i Pavement (tanto per fare due nomi poco conosciuti). “Brain” è quasi epica nel suo incedere progressivo con la voce di King che prega per l’immortalità e la doppia versione finale di “In My Dreams” è puro psych-folk inglese di una malinconia pari solo a quella di “The Sky Children” dei coevi Kaleidoscope (UK).
Citazione finale la merita “Follow Me” dove i nostri si lasciano andare (ahimé per l’ultima volta) ad un infuocato garage-beat che sembra voler porre fine a quella fantastica stagione, chiudendo il cerchio aperto dagli Yardbirds con “For Your Love” e dai Kinks con “You Really Got Me”, qualche anno prima.
Il tutto per la gioia orgasmica mia (sicuro) e del “Modfather” Paul Weller (credo).
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