Greg Dulli, Rick Mc Collum, John Curley e Steven Earle sono gli Afghan Whigs.
Ovvero una delle più belle realtà del rock made in U.S.A. degli anni ‘90 (peccato che non fosse per una questione anagrafica non ne vivremo più).

Definire grunge la musica degli “afgani” può essere una forzatura, ma dati tempi e circostanze non è una bestemmia, visto che i Nostri muoveranno i primi passi alla fine degli anni ’80, faranno parte della scuderia sub pop(!!!!) che in quegli anni sarà la più trendy (perdonatemi lo yuppismo) tra le etichette indipendenti con la sua schiera di band hard rock punk che di lí a poco avrebbero stravolto per sempre il mercato discografico, e che il loro hard rock senza fronzoli screziato di punk e soul può rientrare senza troppe forzature nel (non) genere.
La grandezza dei quattro di Cincinnati sta proprio nell’essere riusciti a coniugare ruvidezze anni ’70 al soul, musica nera per antonomasia, la bellissima copertina è emblematica a tal proposito, una prosperosa donna di colore stringe una bimba bianca ambedue amabilmente ignude e sdraiate su un drappo rosso fiammante. Passione tenerezza ed eleganza in dodici brani memorabili, nei quali Dulli si dimostra musicista nel senso più profondo del termine, sensibilissimo ed elegante, ogni grido e ogni sussurro sono al posto giusto, veramente bravissimo.

Tra i brani almeno tre o quattro sono in zona capolavoro, la serrata e tesa “I’m Her Slave”, ”Turn On The Water” trascinante e appassionata, ”Conjure Me” e la ballatona ”Let Me Lie To You”, senza dimenticare la ghost track in chiusura.
Nell’album è presente anche una versione grungizzata di “The Temple" da Jesus Christ Superstar.

Musica che viene dal cuore, grunge suonato coi guanti di velluto quello dei ”progressisti afgani” che continueranno con grandi album la loro carriera e che avrebbero meritato fama ancor più vasta verso il grande pubblico, ma il grande pubblico forse non li merita.

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