Dopo l'acerbo debutto "Big Top Halloween", gli Afghan Whigs vennero scritturati dalla Sup Pop nel 1989. La grezza e invasata miscela di post-punk e rock classico di quell'album aveva convinto infatti l'etichetta più intraprendente d'America a scritturare la gang di Greg Dulli. Dopo un primo singolo - "I am the sticks" - dotato di squisiti aromi soul, le sfumature e le influenze della musica nera vennero in parte annacquate: l'avventura nel reame del grunge proseguì con l'album che più di ogni altro giustifica l'accostamento tra il quartetto di Cincinnati e quel movimento. Il fil rouge di "Up in it" fu una ruggente potenza di esecuzione (enfatizzata dalla produzione di Jack Endino), un muro granitico del suono in grado di eludere le trappole dell'hard rock più retorico allora in voga: elementi che certamente si inseriscono nel solco di quella sensibilità.

I più intellettuali dei fan del quartetto hanno sempre un attacco di orticaria quando si accosta il nome dei loro beniamini a quello del famigerato grunge: ma ascoltate "You my flower" o il bridge di " I know your little secret" o "White trash party": certe progressioni armoniche possono tranquillamente essere inserite in quell'ottica, in particolare per le parti di chitarra al curaro di Rick McCollum, senza contare la sfolgorante "Now we can begin" (presente solo nella versione in vinile).
L'anello di congiunzione tra i Whigs e il grunge fu probabilmente l'influenza dei Dinosaur Jr, il cui sgangherato incedere post-punk è chiaramente ripreso in un brano come "Hated". Poi, certamente, il quartetto di Cincinnati aveva tante frecce al proprio arco ed era perfettamente in grado di plasmare la propria torrida materia sonora con sufficiente personalità. La sezione ritmica, duttile e ancorata al basso di John Curley, sovente produceva dinamiche scansioni funky (si ascoltino "Southpaw" o " Amphetamines and coffee") e lo stesso McCollum sapeva cambiare spartito, vivacizzando con un notevole lavoro di slide l'ottima "Hey cuz" ad esempio. Greg Dulli dal canto suo stava iniziando a emanciparsi dal ruolo di screamer alla Paul Westerberg: il suo urlo primordiale, quasi animalesco inizia a poggiarsi su felicissime e solide intuizioni sonore. "Retarded" fotografa perfettamente le potenzialità del gruppo, e ne costituisce il primo capolavoro. Ballata elettrica e inquietante, in cui Dulli descrive (" Television's gone and I'm alone with Lucifer"...) una discesa agli inferi: sesso, decadenza e religione, tutte tematiche che verranno riprese in seguito nell'immaginario del gruppo. Altro apice dell'album è certamente la già citata "I know your little secret", che parte come una morbida ballata, per poi deflagare in un tourbillon chitarristico domato dalle spiritate urla dulliane.

Al netto di un paio di episodi meno riusciti, "Up in It" rimane tuttora un album tosto e vivacissimo: una propedeutica tappa di avvicinamento al capolavoro "Gentlemen".

Voto 3, 5

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