Mi sto rattristando, non riesco a trovare un incipit per questa recensone che non sia un'accozzaglia immane di banalità. Cavolo, non vorrei essere enciclopedico ancora una volta. Dai che non lo sarò. Adesso penserò qualcosa......

Al diavolo!

Millenovecentottantuno.
Il Progetto (mi permetto questa personificazione) è reduce dagli immensi cinque affreschi dipinti negli anni settanta: le due bellissime trasposizioni letterarie (Poe, Azimov) di inizio carriera ed i successivi tre meravigliosi concept album. Ma qui si inizia un nuovo decennio, ed amatiodiati che siano gli anni ottanta stravolgeranno il mondo della musica. Per un geniaccio come Alan Parsons, però, nulla dovrà avvenire di così improvviso: e allora perchè non strizzare l'occhio a tutto ciò che è stato fino a quel punto per intraprendere, perché no, nuove soluzioni musicali, magari più vicine ad un pubblico che sta abbassando le sue pretese ? Niente più concept (forse), insomma...

Ma l'album che ne vien fuori, pubblicato l'anno seguente, è tutt'altro che semplicistico: non vi sono differenze esagerate con ciò che fu. La struttura rimane complessa, la qualità è immancabilmenrte sublime, le soluzioni sonore sono sempre il marchio di fabbrica. L'attacco ("Sirius") è una perla strumentale degna dei capilavoro del passato: il giro ipnotico e la chitarra di Ian Bairnson; e la batteria di Stuart Elliot a creare un ponte con un brano a suo modo geniale, semplice ed immediato, reso immortale dal fedele Eric Woolfson. "Eye In The Sky" è forse il primo grande successo del decennio, ed è superfluo commentarla, data la sua diffusione esagerata in mille compilation, servizi tv e rifacimenti. Ma non è un'ellepì sfacciatamente pop, lo si è detto.

E allora ecco la bellissima "Children Of The Moon", cantata dal bassista David Paton. Arrangiamento già ottantistico e celato tema politico ("Troppo a lungo lasciammo aprire il cammino al cieco; è facile capire dove avevamo sbagliato. Nessun ideale per cui vivere, nessun ideale per cui morire. "). E se "Gemini" è una delicata parentesi affidata alla flautata voce di Chris Rainbow, "Silence And I" è una vera e propria mini-opera. Eric Woolfson, semplicemente soave, ci rende partecipi delle sue paure nei confronti dei rapporti umani, che lo conducono ad un isolamento con il silenzio ("Mentre i fanciulli ridevano, ero sempre spaventato dal sorriso del pagliaccio. Così chiudo gli occhi finché non vedrò più la luce.”), e con lui (il Silenzio) a cercare una via d'uscita. E poi entra l'orchestra, sigillo parsoniano, con i suoi 95 elementi, ora giocosa ora solenne, contraltare dello stato d'animo dell'uomo. Malinconia che riprenderà però il sopravvento e chiuderà questo piccolo capolavoro in un efficacissimo assolo di chitarra. Stu-pen-da.

Il lato B è, per certi versi, sconcertante... "You're Gonna Get Your Fingers Burned" è un rockettino davvero niente male, dalla pregevole linea melodica e dall'aggressivo cantato di Lenny Zakatek (anch'egli voce storica del Progetto). "Psychobabble" è un brano non facilmente definibile: introdotto da belle linee di basso, Elmer Gantry ci rende partecipi della sua "confusione mentale" (“Posso parlarti di un sogno che faccio ogni notte? È in dolby stereo ma non lo sento mai bene; prendimi per uno stupido, beh, va tutto bene: vedo la strada da seguire ma non c'è alcuna luce. "). Confusione mentale che esplode in un corpo centrale rumoristico e ricco di effetti sonori, guidato ancora dal basso. Ennesimo riferimento al passato floydiano di Alan, La seconda strumentale ("Mammagamma"), strafamosa anch’essa, credo detenga il record di passaggi come accompagnamento dei servizi del tg2, parlino finanche di discariche. Boh. Bella, è bellissima, la struttura è tipica del progetto, con ancora una volta un singolo tema elettronico iterato con effetti quasi ipnotici (non molto tempo è passato da "Lucifer") su una solida base ritmica.

Si arriva così agli ultimi due brani; "Step By Step", affidata ancora a Zakatek, è una tipica canzone parsoniana, senza lode né infamia, per temi quasi una coda di "The Turn Of A Friendly Card" ("Sto solo partecipando ad una strana gara, vivendo su di un limite invalicabile. Sono destinato a perdere, perché sto sprecando il mio tempo."). "Old & Wise" è infine una perla, a coronamento di un riuscito lavoro: Colin Blunstone interpreta una delle più belle e dolci ballate del Progetto, impreziosita dal bel sassofono di Mel Collins. Ecco, lo sapevo…

Un’altra recensione trita e ritrita, ideale per una specie di “Artusi” della musica. Va beh, tiriamo le somme: un album indubbiamente bello, dalle tematiche mai banali, capostipite della seconda fase del Progetto di Alan Parsons, che giungerà a compimento cinque anni dopo senza mai perdere in qualità, eppur senz’anche ripetere i capilavoro (che bello ‘sto plurale) che all’occhio condussero. L’occhio… quanti giovani ancor’oggi scoprono sulle magari polverose mensole dei genitori questo aureo emblema, le sue foto di orwelliana memoria e i suoi rossi ideogrammi. Spesso ne rimangono affascinati, come successe a me anni or sono.

E Lui, che legge le nostre menti, forse ne è contento.

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