Dovrebbe essere quest'album a recensire me piuttosto che il contrario...
Perciò cercherò non tanto di fare una recensione, quanto più di raccontare, più di quanto cerchi normalmente di fare, un'emozione... l'emozione che mi trasmette mettere su il 33 giri e perdermi tra le melodie degli Alan Parson Project.
Ogni volta che l'ascolto parto per un viaggio dal quale non vorrei tornare.
Questo viaggio però è connotato più come una storia, una storia che inizia con una sigla d'apertura imperiale, maestosa, "Sirius".
"Sirius" ci introduce nello scenario principale, un'isola deserta, sperduta nel nulla, sulla quale mi ritrovo a vivere in circostanze misteriose.
"Eye in the sky" ci presenta quest'isola, illustra il paesaggio, le valli, le colline e le sue splendide e calde giornate estive. Ci racconta il paesaggio incontaminato e la bellezza dei suoi laghi e fiumi, le nuvole che ogni tanto coprono le vette più alte e le spiagge che la sera mi ospitano per guardare l'altrettanto incontaminato cielo stellato d'Agosto.
Quando parte il ritornello io sono lì, sdraiato sulla sabbia, nudo, a guardare le stelle sotto il rilassante fruscio del vento e delle onde che sbattono sulla battigia.
Mi perdo a pensare quanto sarebbe bello essere un occhio nel cielo... poter conoscere in toto la bellezza della natura ed i segreti di ogni più remoto angolo di terra, ma mi fa pensare anche a quanto sarebbe bello essere un puntino tra le stelle, irraggiungibili ma sorprendentemente vicine.
La cosa che più mi affascina è quel sentimento di angoscia, nostalgia, malinconia e felicità che mi provocano questo brano e quest'immagine, come se li sognassi entrambi, come se ne sentissi il bisogno e la conseguente mancanza quando non ci sono, è come piangere col sorriso stampato sul volto (cosa che succede di consueto).
Penso non ci siano dubbi sul fatto che sia un capolavoro, ma non c'è neanche bisogno che io, ultimo arrivato, lo dica...
La quotidianità sull'isola non ha una sua connotazione spazio temporale precisa, è un insieme confuso di informazioni al quale do poca importanza. Rimango particolarmente focalizzato sul cielo stellato, pensando che in fin dei conti, io sono un puntino su un minuscolo pianeta immerso nell'infinità dello spazio... perciò le stelle saranno sempre irraggiungibili.
Dormo con questo pensiero cullato dalle note di "Gemini", o meglio, sognando di avere accanto a me, su quest'isola insulsa, la mia anima gemella.
Ne vedo l'ombra, guardo, mi giro, ascolto, spero, la identifico in mille parole, ma mi ritrovo sempre solo.
Finché arriva "Silence and I"... l'Alba.
L'alba è tanto fisica quanto spirituale.
Ancora sdraiato sulla fredda sabbia, apro gli occhi e vengo investito dalla prima luce del giorno, sento sulla pelle i primissimi raggi delicati del sole che mi accarezzano dolcemente, mi accolgono in questo nuovo giorno rivelatore. Il petto si apre ed emana una nuova luce mentre levito verso le stelle ormai scomparse. Ho il capo cadente all'indietro, mi sollevo parallelo al suolo privo di sensi, solamente immerso in un insieme di fasci di luce finché... ricado a terra, sveglio, e decido di fuggire da quest'isola deserta.
Così al terzo minuto di "Silence and I" cerco freneticamente di costruire una zattera per fuggire, per raggiungere quell'imponente sfera arancione che si staglia alle soglie dell'orizzonte e cerco rami, travi, corde, per creare la speranza dei miei prossimi giorni.
Una rinascita nel silenzio dell'alba.
(Al di là delle immagini e delle emozioni, quant'è bella la chitarra di questo brano, seconda solo a Jimmy Page)
Così con "You're Gonna Get Your Finger Burned" inizia il viaggio verso l'orizzonte arancione che prosegue fino a "Mammagamma".
Io non ho vissuto quegli anni, ma "Mammagamma" me la immagino come hit da discoteca anni 80', penso che se la mettessero oggi mi piacerebbe frequentare le disco.
In ogni caso questo brano lo vivo come una tempesta che mette a repentaglio il mio viaggio verso l'orizzonte.
Dopo una giornata di navigazione le nuvole coprono il cielo, iniziano a cadere fulmini e a rimbomabre tuoni, e le onde distruggono la mia zattera in un insieme confuso di luce e buio a intermittenza.
Questo spasmodico alternarsi di luce, buio, vento e acqua dura per fortuna solo 3.33 minuti, che bastano però ad agitare la mia tranquillità ed interrompere tragicamente il viaggio verso l'orizzonte arancio.
Il mare quindi si calma, diventa piatto con qualche onda dolce, cauta, che fa attenzione a non farmi male.
È arrivato "Old and Wise".
Ora è notte, il viaggio si è interrotto, sono sdraiato in lacrime su ciò che è rimasto della mia zattera, ululo alla luna chiedendo il perché delle mie sofferenze mentre vengo cullato dalle dolci onde, che cercano di farmi prendere sonno, come fossi un bambino indifeso tra le braccia della sua mamma, che lo vuole proteggere dalla crudeltà di questo mondo.
Rimango allora fermo, coi vestiti strappati, a guardare ancora una volta le stelle, con lacrimoni sulle guance che si confondono con l'acqua salata della speranza. Fermo. Ad ululare dolcemente alla Luna cullato dalle dolci onde.
Che malinconia.
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