"Pyramid... the last remaining wonder of the ancientworld."
La breve introduzione a questo concept, contenuta nel libretto, finisce così:
"Piramide, l'ultima meraviglia del mondo antico".

È il 1978 e l'Arista fece uscire questo nuovo concept di quel "progetto" che agli albori della sua carriera si era lanciato in sperimentazioni avanguardiste usando per altro primi nella storia un vocoder, strumento che distorce la voce umana. Chiamarlo "gruppo", in effetti, sarebbe errato, per l'Alan Parsons Project nasce già di per sè bizzarro, rompendo lo standard di un gruppo, il triangolo "basso - batteria - chitarra": avevano sì un chitarrista, un batterista ed un bassista, ma con al seguita una notevole orchestra diretta da un genio quale Andrew Powell.

Alan Parsons in guisa di factotum (Synths, second vocals, produzione..) e Eric Woolfson come paroliere / cantante. Questo concept album, orbene, è forse il più chiaro e "puro" della discografia Parsonsiana e si basa su un unico concetto "Ciò che ascende, poi cade". Espressione resa alla prefazione nel secondo brano "What goes up...". Il disco si apre con lo strumentale "Voyager", tema che verrà ripreso poi nel successivo disco "Eye in the sky", si apre su un semplice arpeggio e da questo nascono altre trame che si intrecciano, e a cui si aggiungono basso e batteria, percussioni ed effetti sonori. Come giù nel primo disco del gruppo "Tales Of Mystery And Imagination: Edgar Allan Poe", il primo corto strumentale, raggiunto l' apice, scende lasciando solo una semplice linea di basso e percussioni. Su questa si passa alla già citata "What Goes Up...". Questa canzone potrebbe riassumere bene tutto il disco, "What goes up, must come down": non vi sono preghiere, non vi è destino, non vi è possibilità, ogni cosa che è possibile può fare, "even a miracle", deve cadere. Sempre. Un ripresa rapida del tema di "Voyager" e un vibrato chiudono la canzone. Arriva Woolfson al canto e si leva, esitante, la famosa "The Eagle Will Rise Again": il messaggio della canzone è triste e pessimista quasi quanto quella precedente, i giorni della vita sono come granelli di sabbia che cadono dalle mani a comando del vento. Ad un certo punto il narratore si ribella alla sua inutile condizione e urla, strepita "Lasciami vedere la luce, lascia che io sia luce!". Ma non c'è nulla da fare. L'incessante scorrere del tempo coprirà anche la sua vita. Un piccolo intermezzo, "One More River", che ha lo scopo di spezzare un po' la catena di pessimismo creata da questo disco. Tuttavia ne sottolinea i concetti, non guardarti indietro perchè c'è un altro fiume, un altro ponte. Non distrarti. Rintocchi di campane in lontananza e una fragile melodia di flauto di alza fra il sole cocente. un Rumore forte, poi la marcia infinita. Mah, che dire, "In the Laps Of Gods" mi fa venire alla mente i tempi dei faraoni dell'antico Egitto e quasi, chiudendo gli occhi, si riescono a vedere file e file di schiavi portare enormi macigni per costruire il grandioso monumento che porterà lustro al sovrano per millenni a venire. D'un tratto la musica s'arresta, ed entra un tema di basso ossessivo e scostante, dapprima esitante, poi continuato e martellante. Il monumento è finito, forse e il popolo rende omaggio al sommo regnante, si leva il coro, grandioso, maestoso. Hail to the King, Praise to the King And glory to His name forever. Gloria, Hosanna ! un tema furioso di archi che si inseguono in un crescendo di cori e quelli di trombe, il ruggito dei corni francesi concludono il brano a mio avviso più bello e grandioso del concept.

Alè, si cambia totalmente, alla faccia di chi dice che la musica di Alan Parsons sia monotona, dai sommi fasti dell'impero d'Egitto si passa alla schizofrenia d'un pover'uomo per le piramidi. Le vede ovunque, povero diavolo, in ogni posto, lo stanno rovinando quasi fosse una droga. Egli pensa che lo aiutino a vivere, mangiare, bere e dormire meglio, pensa che lo aiutino a coltivare cose deliziose. Ormai la sua biblioteca è strapiena di saggi sui Maya e il suo pigiama offre un panorama delle piramidi di Giza. Si rende conto che tutto ciò che ne ha ricavato è un fitto dolore al collo e un abbaiare stridulo e continuo. Ormai è folle, dà di testa ed esclama "tutto ciò di cui hai bisogno è una piramide!". Finisce questo capolavoro di canzone e subito l'atmosfera (Piramidale, direi) si tramuta in un crescendo di sintetizzatori e batterie sorde in un ambiente futuristico di ricerche spaziali e avventure nel cosmo. "Hyper Gamma Spaces" è la fine ideale di questo concept e potrebbe ridare una speranza che possa contrastare il pessimismo d'apertura: in fin dei conti c'è sempre il futuro, domani è un altro giorno e... chissà. Forse riusciremo a riconquistare le meraviglie perdute. Sarebbe il finale ideale, tutto bello e tutto sereno! massì, buttiamoci sul futuro, gettiamoci in mano alla scienza. Invece no, Woolfson non riesce a dimenticare che dopo tutte le meraviglie dell'Egitto, i viaggi spaziali, i percorsi interiori, la follia, la morte del tempo, dopo tutto questo v'è solo un uomo chiuso in sè stesso, non resta che un quasi vegetale, un ombra dell'ormai dimenticata presenza d' un solo individuo.

Il presente è il presente, non v'è passato e non v'è futuro, non vi sono le file di schiavi prossimi alla piramide e non vi sono straordinari viaggi nel cosmo, ma solo un uomo, immerso nella sua solitudine, appiattito dall'incessante scorrere del tempo, schiacciato, oppresso, ucciso, assassinato psicologicamente. Egli pare si rivolga in preghiera a tutto ciò che è passato, a ogni cosa prima avvenuta: "Look at me now, a shadow of the man I used to be. Look through my eyes and through the years Of loneliness you'll see. In the shadow of a lonely, lonely man, I can see myself!" “Guardami adesso, un’ombra dell’uomo che ero un tempo. Guarda attraverso i miei occhi e gli anni di solitudine che vedrai. Nell’ ombra di un uomo disperatamente solo posso vedere me stesso! “...

Penso che la copertina interna dell’LP renda bene questa idea. Ci sono sarcofagi, simboli, schemi, operazioni geometriche, calcoli algebrici, analisi di battiti cardiaci, fili, cavi, inquietanti lamette da rasoio piegate, sullo sfondo le immense piramidi, dischi volanti, fredde apparecchiature spaziali. In fondo a destra un uomo a mezzobusto disperato, raccapricciato, si para gli occhi con le mani, solo, abbandonato, appiattito. La storia e la disperazione che da essa traspare l'hanno distrutto. Si ritorce contro il suo creatore.

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