Il "progetto" di Alan Parsons è al suo penultimo lavoro ufficiale. Il socio Eric Woolfson ci sarà fino a "Gaudi" del 1987. Il successivo "Freudiana" del 1990 è un raduno di musicisti affiliati, dove si trovano le ultime tracce della sua voce, uno dei biglietti da visita del gruppo.
"Stereotomy" arriva subito dopo "Vulture Culture", che è forse sino a quel momento il lavoro meno degno di nota. I Project sfornano un disco ogni anno con cadenza cronometrica, e questo non sempre giova alla qualità e alle aspettative del pubblico, sovente dalle orecchie molto fini. Nel palinsesto della loro carriera è unico. Come sonorità e tecnologia.
Sembra che abbiano completamente svuotato lo studio dalla tradizionale strumentazione, con altra più moderna. La registrazione è impeccabile come non mai registrando per la prima volta completamente in digitale. Siamo nel 1985 e Alan Parsons non vuole restare al palo. È pur sempre il re del mixer e della tecnologia applicata agli arrangiamenti.
La title track forse è il brano migliore. Sound rock come poche altre volte, quasi progressive. La chitarra di Bairnson mette le borchie e taglia le note in modo freddo ma efficace. Quel gran batterista che è Stuart Elliott è il solito metronomo umano, garanzia di precisione. La voce potente e maschile di John Miles è la più adatta alla situazione, in mezzo ci sta anche Woolfson che impreziosisce il tutto. È quasi impossibile non muovere almeno un arto al ritmo di questo brano. "Beaujolais" è un simpatico motivetto ben ritmato. Niente di più. "Urbania" è strumentale. Si inizia con l'avviamento di un motore a benzina e clacsonate di traffico. Piuttosto fredda nelle sonorità come tutto l'album. Si può definire "fusion" come esecuzione, abbandonando il sacro 4/4. Un pò da intenditori. Mette in mostra i musicisti della formazione, se mai ce ne fosse bisogno.
"Limelight" è cantata da Gary Brooker, ex Procol Harum. Un bel lentone dalla cadenza un pò ovvia ma che ha venduto bene. Singolo ufficiale dell'opera, e divenuto uno degli evergreen del gruppo. La conoscono tutti. Colpa anche della lavatrice Margherita Ariston. "In the Real World" è il classico rock dei Project sempre con la voce di Miles. "Where's the Walrus?" è l'altra strumentale, molto lunga con ulteriore sfoggio di sinth e rock elettrico. Ottima per testare un impianto audio. Si fa amare dai cultori dell'elettronica. Niente di nuovo, ma piacevole e potente.
"Light of the World" è la più ispirata con un intro meraviglioso. La melodia è riuscita, emozioni melanconiche tipicamente british. Bel pezzo. Bello l'assolo di chitarra. Trasognante. "Chinese whispers" è una curiosa parentesi orientale con la chitarra acustica del solito Bairnson, che dà subito strada a "Sterotomy Two", reprise forse un pò inutile. Dando al tutto la sensazione che è un concept album dal sapore metropolitano, con meno personalità di un "Pyramyid".
Siamo al tipico lavoro dell'Alan Parsons Project ma con delle novità tecnico-estetiche che rinnovano un pò la loro musica. Dò quattro stelle, proprio per quella diversità che lo contraddistingue. Fanno sempre qualcosa di eccelso in ogni lavoro. Forse può bastare.
Joe Cavalli
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