Ad Alan Parsons è preso lo strippo del discopop anni Novanta. E così rovina l’evocativo prologo strumentale (un classico dei suoi dischi) con un ritmo discotecaro. “The Time Machine pt.I” (nell’edizione americana “H.G. Force”) fa partire male l’album "The Time Machine".
L’impressione generale è che questa macchina del tempo non sia nè carne nè pesce. La struttura dell’album è nel vecchio stile di dischi come "I Robot", con la presenza di alcuni brani strumentali psichedelici e di canzoni tra il rock e il pop. Ma i brani in questione non spiccano il volo, ruotando attorno ad uno stile pop con spruzzi di chitarre e batterie rock, finendo talvolta (appunto nel caso della title-track) per essere rovinati. Ne patiscono le conseguenze soprattutto i testi, che sono piuttosto evocativi e avrebbero maggiore potenzialità. Un esempio su tutti “Ignorance is Bliss”.
Dov’è che l’album funziona meglio? Sicuramente in “The Call of the Wild”, “Far Ago and Long Away”, “Rubber Universe”. La prima cantata, le altre due strumentali; qui le sperimentazioni e le atmosfere sono calibrate con cognizione, valgono da soli l’aquisto del cd. Secondariamente in “Out of the Blue” e “Press Rewind”, discrete canzoni. E cos’è “No Future in the Past”, un omaggio ai Beach Boys? Per non parlare di “Dr. Evil Edit”, una bonus track che di bonus ha ben poco ma di offensivo parecchio (“Alan Parsons Project distruggerà Washington DC”???).
Parsons in realtà non ha composto ufficialmente alcun brano, ad esclusione dell’intermezzo parlato che segue la title-track. Il compositore principale qui è Ian Bairnson. Questa potrebbe essere una delle cause del senso di incompletezza che "The Time Machine" lascia. Poi bisogna dire che Parsons ha iniziato a sperimentare con nuove tecnologie digitali e con nuove forme di suono. Riuscirà nel suo scopo appoggiandosi all’elettronica, genere per lui decisamente più congeniale, definito ma non troppo, con cui riunisce i vari generi che dosa come ingredienti nelle ricette dei suoi dischi. Ma questo solo con "A Valid Path" del 2003. "The Time Machine" è praticamente un disco di transizione, di più o di meno piacevole all’ascolto a seconda del gusto di ciascuno, ma di certo altalenante. Un viaggio nel tempo non privo di scosse, che alla fine non lascia del tutto convinti.
Il consiglio in casi come questo è il solito: da avere se si apprezza Alan Parsons, specialmente l’Alan Parson contemporaneo, ma senza urgenza e solo dopo altri album. Allo stesso tempo, potrebbe piacere di più a coloro che non vanno matti per l’Alan Parsons classico. Dopotutto il viaggio nel tempo ha a che fare con la probabilità.
Carico i commenti... con calma