Gli "Appleseed Cast" continuano una evoluzione artistica personale ed intensa verso territori sempre più onirici che si concretizzano nuovamente in un altro interessantissimo lavoro dal nome "Sagarmatha".
Quest'album si rivela una tappa fondamentale per la band che si innalza a quote dove l'aria è più rarefatta e punta lo sguardo all'orizzonte dall'alto di un paesaggio freddo, nebbioso, ma al contempo sereno, immobile e di forte impatto spirituale; Sagarmatha difatti è il nome nepalese del monte Everest il quale sintetizza la maestosità e la suddetta spiritualità di questo lavoro discografico.
Gli Appleseed Cast riescono, con grande stile, a rievocare tutte le loro influenze sonore e richiamarle all'interno di un sound etereo, alquanto sbiadito, ma al contempo caratterizzato da sezioni ritmiche decise, energiche, articolate, che riescono facilmente ad entrare sotto pelle.
Le loro origini "indie rock" sono fortemente ricalcate dalle sonorità chitarristiche e confluiscono in un "post rock" suntuoso e ricco di sfumature.
Sin dalla prima traccia si presentano suoni brillanti e arpeggiati che si fondono tra loro creando una mistura avvolgente, serena, psichedelica. Si possono, quindi notare, da subito, definitivi cambiamenti in quest' album soprattutto per l'utilizzo delle voci che diventano fortemente comunicative; la voce è utilizzata proprio come uno strumento e non pretende parti da elemento principale, ma si fonde sul tappeto sonoro e contribuisce alla creazione di atmosfere dilatate e nebbiose grazie all'uso ampio di riverberi, deelay e filtri. In ogni brano si sviluppa il contrasto tra la parte ritmica e la parte melodica, la prima presente e maestosa che accende l'attenzione a colpi di rullante, la seconda evanescente e dilatata che riporta alla dimensione spirituale.
La prima sequenza, molto lunga, dei 3 brani d'apertura è di forte impatto emotivo e tocca l'apice con il brano "The Road West" che termina su una melodia sognante. Si prosegue con "The Summer Before", brano dall'approccio più immediato e melodicamente più convenzionale, il quale risulta piacevole e non guasta l'atmosfera del disco grazie anche alla sua breve durata. La breve parte centrale dell'album presenta quindi un approccio meno complesso e più terreno.
Si passa presto, però, ad atmosfere più cupe ed aggressive, ma tutt'altro che violente, dell'intro del sesto brano "Raise the Sails" che evolve in distinte parti di particolare bellezza alternando chiaroscuri di grande effetto e intrecci sapienti su un tappeto sonoro di grande valore: esso può essere indicato come il brano più significativo dell'intero album.
Ecco che l'eclettismo degli "Appleseed Cast" torna prepotentemente con il brano "Like a Locust" che spezza d'improvviso col resto del disco a causa di una sezione ritmica stile "eletctro-pop" che avanza ossessiva su suoni riverberati di tastiere e feedback modulati in sottofondo.
La chiusura spetta a due brani che fanno da "ciliegina sulla torta": il primo ha un approccio aggressivo e freddo, l'evoluzione dalle alboree melodie dei primi brani fino ad un tramonto infuocato all'orizzonte è quasi completata ... "An Army of Fireflies" chiude con chitarre decise e trame ritmiche più complesse, allontanandosi definitivamente dalla serenità spirituale delle prime tracce.
Appare evidente che nel crogiuolo sonoro degli "Appleseed Cast" ci sono influenze molto forti che vanno dall'indie al post-rock, con una forte presenza di atmosfere psichedeliche, e anacronistiche venature di un sound tipico del finire degli anni '80 che coinvolge in particolar modo la sezione ritmica, e che contrasta con soluzioni sonore tipicamente attuali. Questi quattro ragazzi riescono a prendere a piene mani da band più carismatiche ma metabolizzando il tutto in uno stile molto personale e creativo.
Per concludere, seppur "The Appleseed Cast" è una band che resterà ancora nel proprio angolo, essa sicuramente sviluppa una creatività personale e tende ambiziosamente all'idea di musica che diventa forma d'arte.
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