La carriera della band originaria del Kansas può essere descritta sinteticamente come un flusso emozionale di note e pensieri. La portata nel corso degli anni è diventata sempre più grossa arricchendosi sempre di nuove sensazioni. Partiti sulla scia di Mineral e Texas is the Reason con i primi lavori, negli anni iniziano a prenderne parzialmente le distanze e con il doppio e primo acuto “Low Level Vol. 1 &2” dilatando le composizioni avvicinandosi maggiormente al post-rock. C’è anima dietro le composizioni, un rock ora sussurrato ora impetuoso ed emozionale. Non è facile unire due galassie con regole e dinamiche molto diverse, proprio qui sta il loro successo. Nonostante in Italia non abbiano poi sfondati i grossi portoni.
Il penultimo disco in studio “Illumination Ritual” (2013) si distingue per essere una brillante summa del progetto. Più asciutto e compatto dell’altrettanto buono “Sagarmatha”(2009). Entrambe tappe decisive per il loro cammino. Sarebbe facile parlare di uno di questi due dischi visto cosa hanno significato, ma mi sembra giusto impiegare questo spazio per parlare invece del più lavoro più prossimo a noi correndo verso il presente.
Nonostante la notevole prolificità in studio, quello intercorso tra il su citato e “The Fleeting Light of Impermanence” (ben sei anni) è l’intervallo più lungo ad oggi trascorso tra due lavori.
“Chaotic Waves” che apre è la canzone liquida ed emozionale che The Appleseed Cast ormai riescono a scrivere bene da ormai vent’anni. Non poteva che essere posta in apertura, essendo facilmente riconoscibile il loro stile come la voce liquida di Cristopher Crisci.
La novità è rappresentata da un uso maggiore dell’elettronica che trova la sua summa nell’algida “Time the Destroyer”. La tensione costruita sapientemente dai synth nei primi minuti strumentali è palpabile e viene rilasciata nel corso dei minuti. Sembra di trovarsi nel mezzo di una bufera di neve. “Petition” è già più tranquilla e l’avrei vista bene su “Two Conversations”.
In alcuni episodi centrali c’è un po’ di mestiere, con alcuni episodi che scivolano via senza rimane impressi scaldare fino in fondo.
Il finale è affidato di nuovo a basso, chitarra e batteria che ricamano una piacevole trama che si insinua sottotraccia, prima dell’intervento magistrale di Crisci. “Last Words and Final Celebrations” e si canta a sguarciagola. E’ un gran commiato.
Ancora una volta hanno cercato di provare nuove strade. Vedremo se con la prossima uscita continueranno su tale rotta o cambieranno ancora il vento.
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