Mettiamo che tu, artista con il disco pronto in mano, vedessi che questo per la bellezza di due anni non riesce a vedere la luce, a causa di una casa discografica che lo vorrebbe più commerciale e vendibile, di ex membri che pretendono una buona fetta della torta e chi più ne ha più ne metta, beh ammettilo, un pò frustrato ti sentiresti.

Dopo una gestazione infinita e il quasi totale stravolgimento della line-up della band, i The Ataris si riaffiacciano al mercato discografico con questo "Welcome The Night" che segue, a ben cinque anni di distanza, l'acclamato (almeno dal pubblico statunitense) "So Long, Astoria", che per il gruppo rappresentò la definitiva consacrazione agli occhi del favoloso universo mainstream ma anche le contemporanee accuse, da parte dello zoccolo duro dei fans, di essersi venduti alleggerendo pesantemente il proprio sound. E, in effetti, sarebbe indelicato dar loro torto: pur salvandosi qualche pezzo, che nonostante le melodie plasticose non faticava ad entrare in testa all'ascoltatore, "So Long, Astoria" peccava esageratamente di faciloneria, presentando melodie fin troppo poppettare. Da un gruppo che, ai tempi, iniziò suonando hardcorepunk melodico vecchia scuola, talmente bene da finire sotto l'ala protettiva di un'autorità come Joe Escalante dei Vandals, effettivamente una svolta del genere potrebbe apparire come un affronto nei confronti dei vecchi fans.

Altre storie. Vediamo com'è allora "Welcome The Night". Come già citato qualche riga più su, la line-up della band è praticamente del tutto nuova: gli unici reduci della formazione che suonò in "So Long, Astoria" sono il frontman Kris Roe, vera anima della band (nonchè unico membro originario del gruppo) e il chiatarrista John Collura; a loro si sono aggiunti il secondo chitarrista Paul Carabello, il bassista Sean Hansen, il batterista Shane Chikeles, il tastierista Bob Hoag e il violoncellista Angus Cooke, già apprezzato produttore. Dunque oggi, gli Ataris presentano una formazione di ben sette elementi.

Già dalla prima traccia, peraltro primo singolo estratto dall'album, "Not Capable of Love", si nota il deciso cambio di rotta del (neo)sestetto. Le melodie non sono più quelle emopop-lagnose di Astoria, bensì più cupe e riflessive. Roe, che come si diceva in precedenza è la vera e propria mente del combo, questa volta sceglie di privilegiare atmosfere più vicine all'indie rock alternativo. Il cantato non è più sfacciatamente melodico, il tono della voce di Kris si abbassa notevolmente, quasi una via di mezzo tra un qualunque singer indie-rock (mi vengono in mente gli Interpol) e Robert Smith; il paragone con il singer dei Cure calza anche dal punto di vista dell'interpretazione, che lo ricorda in più di un'occasione. Buona parte dei pezzi vanno a segno (oltre alla già già citata Not Capable Of Love, da segnalare tra gli episodi migliori Cheyenne Line, Cardiff-by-the-Sea e Connection Are More Dangerous Than Lies), nonostante non manchino cadute di tono (come la brutta New Year's Day), più che altro reminiscenze del recente passato catchy della band. Si avverte, infatti, una poca omogeneità, o meglio, un mancato bilanciamento tra il passato e il presente, tra il punk e le nuove atmosfere rock. Per questo, il disco probabilmente è solo una prova di ciò che Roe desidera realmente dai propri musicisti, una temporanea sosta in attesa che vengano fuori i veri, "nuovi", Ataris; a proposito, i membri entranti (perdonate l'evidente doppio senso!!!) sembrano maggiormente dotati dei propri predecessori: il disco appare suonato molto bene, probabilmente grazie anche alla produzione di lusso della major Universal, che peraltro aveva bocciato il lavoro di Roe in più di un occasione, minacciando di chiuderlo per sempre in un angusto cassetto.

Ho letto di tutto su questo disco, c'è chi lo esalta, chi lo distrugge. Come spesso accade, però, la verità sta nel mezzo. Non un capolavoro, non una ciofeca, semplicemente un disco di passaggio per una band che attraversa un periodo di rinnovamento. L'autore dei pezzi, nonchè frontman, sta maturando e mutando il suo modo di scrivere e la sua band deve avere il tempo di amalgamarsi. Un apprezzabile tentativo di modificare radicalmente il proprio stile per approdare a qualcosa di totalmente nuovo. E' così che deve essere visto "Welcome The Night".

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