In spiaggia di ombrelloni

Non ce ne sono più

È il solito rituale

Ma ora manchi tu

Me l'hanno insegnato Michael e Johnson che anche l'estate ha due facce, quella che sprizza divertimento e spensieratezza da ogni poro e quella che si tinge di malinconia e sospiri, e che fino a ferragosto è una storia, dopo ne inizia un'altra tutta diversa.

Ne erano a conoscenza anche i Barracudas, di questa faccenda. Però i Barracudas li ho conosciuti solo alcuni anni dopo aver incontrato Michael e Johnson. E se Michael e Johnson ci hanno scritto una canzone, i Barracudas ci hanno sfornato un intero album, quasi un concept, sull'estate bifronte.

«Drop Out With The Barracudas», ovviamente, con la sua downside (il lato malinconico e pensieroso) e la sua upside (il lato tutto frizzi e lazzi). E la cosa strana è che il lato A è il downside, il B l'upside, come se i pensieri corressero prima all'offuscato ieri e poi al sereno avant'ieri. Oppure la storia è andata che qualcuno si è sbagliato ed ha impresso il downside sul lato A invece che sul B, come quello che mi spacciò un «Closer» capovolto.

Ma invece no, è giusto così, i Barracudas iniziano a raccontarci la loro ultima estate dalla fine, quasi i prodromi dell'autunno, vogliono così e così sia.

Che downside sia, allora. Ovvero il lato garage, perché i Barracudas sono stati un gruppo garage e se non ci fosse stato Greg Shaw e Bomp! e poi Voxx, chissà se i Barracudas avrebbero mai avuto una possibilità.

Poi, bisogna intendersi ad etichettarli come un gruppo garage, i Barracudas. Per dire, io gli diedi una possibilità perché qualcuno me li aveva introdotti come un gruppo garage quando io ero un maniaco del garage (Outta Place, Miracle Workers, Gravedigger V ed altre amenità cavernicole), così che acquistai «Mean Time» – fidati, il loro più bello, mi disse qualcun altro – e mancò poco che non lo lanciassi dalla finestra a mo' di frisbee. Perché quei Barracudas, di garage, avevano poco o niente: niente fuzz, niente farfisa, niente teschi. Poi, che oggi «Mean Time» sia per me uno degli album indispensabili degli '80, è un'altra questione.

Fatto sta che, semmai i Barracudas sono stati un gruppo garage, lo sono stati secondo lo stile Bomp! piuttosto che il Voxx, perché da Bomp! si erano accasati i Flamin' Groovies, i 20/20, Paul Collins e i Plimsouls, oltre ad un manipolo garage-punkster nel senso rigoroso del termine (Iggy, gli Zeros, i Weirdos). Ecco, tanto per dire, se i Flamin' Groovies non sono finiti nel dimenticatoio dopo «Teenage Head» e sono arrivati a «Shake Some Action», è merito solo e soltanto di Greg Shaw e Bomp! E se tanto power-pop ha risuonato negli anni '70 e continua a farlo ancora oggi, è merito in tanta parte di Greg Shaw e Bomp! E se ancora oggi ci sta qualche pazzo che ascolta e condivide i Barracudas, è solo merito di Greg Shaw e Bomp!

Anche se poi «Drop Out with The Barracudas» è un album che ha stampigliato in copertina il marchio Voxx, ma si sono sbagliati i grafici, perché i Barracudas sono, per attitudine e suono, un gruppo Bomp!

A loro modo garage, tanto power-pop, tanto surf.

Roba da rimanere fulminato appena la puntina poggia sul primo solco, perché un pezzo come «I Can't Pretend» è solo questo: fulminante. Fulminante il riff, fulminante il ritornello, fulminante l'assolo. In buona sostanza, una versione amfetamica ed esaltata dei Flamin' Groovies di «Shake Some Action».

Power-pop scintillante, insomma, come si ripete in «Somewhere Outside». Che, col senno di poi, forse è pure più (non dico bella ma) “importante” di «I Can't Pretend», perché preannuncia i Barracudas di «Mean Time» e dice di un gruppo che già all'esordio ha le idee ben chiare sulla strada da percorrere.

E il garage? Quello è la materia di cui sono fatte le arrembanti «This Ain't My Time» e «Somebody» e pure quei gioiellini di folk e psichedelia che sono «Violent Times» e «I Saw My Death In A Dream Last Night».

Chiude la downside il rifacimento di «Codeine» di Buffy Sainte-Marie, a dir poco sorprendente, in ogni senso.

Così finisce la downside, la puntina non ha altri solchi da suonare e non resta da far altro che alzarsi, andare al giradischi, rivoltare il vinile e poggiare sul piatto il lato B, l'upside.

E da questo momento in poi, fino alla fine, si scatena il delirio: surf, surf e ancora surf. Beach Boys (mica quelli pallosissimi di «Pet Sounds», no, quelli prima, quelli veri), Jan & Dean, Surfaris e Ventures come se non ci fosse un domani.

I titoli dicono già tutto: la strepitosa «Summer Fun» – quella della Plymouth babararacucudada e di un folle jingle del '66 scovato qualche giorno fa, quelle cose talmente prive di senso che mi stampano immancabilmente un sorriso ebete – «His Last Summer», i gabbiani lassù e l'oceano davanti, l'organetto che martella, il coretto meraviglioso e la storia del surfista Richie, l'innodica «Surfers Are Back», COWABUNGAAAAA e via con un riff di chitarra che tanti gruppi punk ancora oggi se lo sognano, «Don't Let Go», power-pop-surfadelico che mi si è appiccicato addosso trent'anni fa e non viene più via, «On The Strip» e «California Lament», per riprendersi ed arrivare fino in fondo.

In fondo ci sta «I Wish It Could Be 1965 Again», che è tutto e tutto insieme: garage, power-pop, surf, una incommensurabile dichiarazione d'amore per certa musica dei '60, nuggets e pebbles, «Louie Louie» e «Psychotic Reaction», Remains e Seeds.

Suoneranno album pure più belli di questo, i Barracudas – «Mean Time», ovvio – ma mai più divertenti come «Drop Out». E allora, rimedia una tavola da surf anche solo per fare scena, rimedia questo album, portatelo in spiaggia e suonalo a volume furibondo. E se qualcuno si lamenta gli spacchi il tamburello in testa.

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