"The Beach Boy's Party" (1965) è una sublime baracconata. E' divertente, piacevole e commovente come pochi, ma non è altro che una manciata di cover più o meno famose, registrate con una chitarra acustica, un paio di tamburelli, alcuni bicchieri tintinnanti e altre carabattole non ben identificate, usate come percussioni improvvisate.

Immaginatevi i Beach boys ritrovarsi una sera in spiaggia, attorno a un fuoco, con delle ragazze, qualche spinello e una chitarra, immaginateli cantare in questo quadretto ed ecco che probabilmente verrebbe fuori qualcosa di simile al contenuto di questo album.
L'intento di dare al pubblico una sensazione di "festa" (con tanto di foto festaiole in copertina) è talmente riuscito che si ha davvero l'impressione che il disco sia stato registrato in modo amatoriale a casa di Mike Love come se fosse un'improvvisata (che è quello che tentarono di far credere). La realtà è leggermente più prosaica ed è interessante farne un accenno come mera curiosità musico-storiografica.

Dopo l'uscita di "Summer Days", Brian Wilson era a lavoro su qualcosa di molto ambizioso, un progetto che avrebbe richiesto molto più tempo rispetto agli standard precedenti: niente meno che il leggendario "Pet Sounds". I Beach Boys però erano legati a contratti discografici che pretendevano uscite commerciali natalizie ed altre amenità del genere (non erano gli unici, guinzagli contrattuali simili li avevano quasi tutti, da Elvis ai Beatles); si erano giocati la carta del Live il Natale precedente, e per quell'anno dovevano inventarsi qualcosa di diverso senza che si andasse a disturbare e/o rallentare l'operazione creativa di "Pet Sounds". La decisione presa fu quindi di registrare un album acustico di cover in presa diretta, riducendo al minimo i tempi di produzione; un paio di sessioni in Studio nel settembre 65' ed anche per quell'anno il panettone se l'erano guadagnato.

Nonostante sia il frutto di una meschina operazione commerciale, The Beach Boy's Party ha un suo valore.
L'esecuzione scanzonata dei brani crea una sensazione di intimità e trasporto, un pò come se la Band ti stesse suonando davanti. I pezzi sono tutti ben cantati come è lecito aspettarsi da un gruppo vocale di talento come i Beach Boys, ma aleggia una preponderante atmosfera di "scazzo" (passatemi il termine) che rende il tutto deliziosamente dilettantesco e confusionario.

Si va da classici del Doo-wop e del Rock'n'roll come "Hully Gully", "Papa-Oom-Mow-Mow", "Alley Opp", "Mountain of love", a momenti più morbidi come la dolcissima "Devote to you" degli Everly Brothers, la celebre "The Times They Are a Changin" di Bob Dylan e "There's no other (like my baby)" di Phil Spector; vi sono poi tre brani dei Beatles, "I Should Have Known Better", "You've Got To Hide Your Love Away" e "Tell Me Why", un Medley dal loro repertorio "I get around - Little deuce coupe" e infine "Barbara Ann", un pezzo di un certo Fred Fassert uscito qualche anno prima (1961), pezzo che troverà gloria eterna grazie proprio a questa versione dei Beach Boys (verrà per sempre accostata a loro, un pò come Twist and Shout viene accostata ai Beatles).

Insomma... un lodevole divertissement pop, spensierato come una festa tra amici, niente di più, niente di meno. 

Giudizio 7,5/10

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