E' pubblicità o i Beach boys erano davvero bravi? Facevano canzonette e ogni tanto qualcosa di serio, o dietro a tutte quelle canzonette c'era del talento? Meritano la fama che hanno? E' rubato il loro continuo accostamento, da parte della critica, agli inarrivabili 4 di Liverpool o ad altri mostri sacri della musica dello scorso secolo?
Sono andato a Milano, lo scorso 27 luglio, un po' per rispondere a queste domande che mi frullano in testa da anni, un po' perché amo la musica Vintage, un po', forse, seguendo un istinto che da sempre mi ha fatto drizzare le antenne all'ascolto di una delle canzoni dei Wilson & c.
Arrivo con discreto anticipo, e all'ippodromo di Milano non trovo code. Non c'è la classica atmosfera del grande evento, quella che ti agita almeno un pochino, quella che ti riempie l'aria di elettricità, quella che onestamente mi aspettavo di trovare. Entro quindi solo un'oretta prima dell'inizio (il biglietto indicava ore 21.02), e mi ritrovo sotto il palco, a distanza di uno sputo da un pianoforte a mezzacoda bianco. Mi guardo in giro e vedo gente di tutte le età, qualche bella figliola, e la stessa percentuale di gente con gli anni dei miei che noto quando seguo in capo al mondo il mio guru JPMC. Ci sono moltissime magliette dei Beatles, una dei Motorhead, perfino una di Clapton e dei Queen. Dei Beach Boys poche o niente.
Pian piano il parterre si riempe quasi del tutto, arriva qualche maglietta in più e il sole inizia a calare. Un po' di emozione sale, ma poca.
Appena arrivano le zanzare (tante e cattive), si spengono le luci, e un tizio sconosciuto coi capelli lunghi va alla batteria e parte con un tempo elementare. Entrano un numero inverosimile di musicisti, tra cui i ben noti "innesti" Bruce Johnstone e David Marks; uno di questi annuncia: "leadies & gentleman, welcome the original Beach Boys, Al Jardine, Mike Love and Brian Wilson!"
L'emozione che aspettavo da un po' mi casca addosso tutta d'un colpo, e la visione un po' spiazzante di tre vecchietti che prendono il loro posto sul palco non frena l'ntusiasmo che il primo accordo vocale della serata mi inietta nelle vene. Mi ritrovo a ballare come un ragazzino con un sorriso da ebete stampato in faccia: ecco l'effetto Beach Boys, questa volta dal vivo.
Quando arriva una canzone sconosciuta, o lenta, l'adrenalina scompare e il mio spirito critico torna a dominarmi. Sono in troppi sul palco, addirittura in 14. In certe canzoni ci sono 5 chiatarre contemporaneamente, e per quanto mi impegni, non riesco a distinguerle. Conto 5 tra tastiere hammond e pianoforti. Uno spiegamento di forze eccessivo, a tratti quasi dannoso. Ste camice stile hawai e sti cappellini stonano su corpi di anziani signori che, per quanto vispi, a tratti fanno tenerezza.
Poi sale il ritmo, e torna la magia. Poche parole e tanta musica, e Mike Love, che sembra sfiorare i 90 anni e si muove lento, domina la scena come un leone, e sfodera una voce alta e nasale, o profonda e tenebrosa, davvero invidiabile. Vengo di nuovo rapito da melodie accattivanti, una buona potenza di base, e cori che fanno scuola in tutto il mondo da 50 anni spaccati. Il tutto dura più di 2 ore, e si sfiorano le 50 canzoni. Mica male davvero per sti anzianotti, onestamente non me l'aspettavo.
Menzione a parte per ciò che resta di Brian Wilson, irriconoscibile, deformato dagli anni e trasformato in un vecchino, vestito con pantaloni della tuta e polo sgualcita, parcheggiato dietro un pianoforte che non sfiora quasi mai. Lui, che ne sa, accidenti se ne sa, non meritava questa esibizione del suo dramma. Canta poco e male, ha lo sguardo perso nel vuoto, addirittura blocca gli applausi che il pubblico in delirio gli dedica quando sembra uscire per qualche attimo dal torpore. Non so che dire, a un personaggio di quello spessore, avrei dedicato al massimo un cameo o due. Vederlo così mi ha commosso e rattristito.
Ma torniamo alla musica, perché di questo trattiamo. Sentire dal vivo Good Vibration mi ha spaccato, così come God Only Knows... e tante altre.
I Beach Boys hanno fatto, e sanno fare (adesso ne ho le prove), grandi canzoni, altro che balle. Il loro effetto "positivo", da sorriso ebete, perdura nei giorni dopo il concerto, e le loro melodie hanno fatto vibrare tutte le corde della mia anima da musicista. Anche adesso ce le ho in testa, e da allora ho passato ore su iutub a vedermi filmati di repertorio. Ora che li ho visti, ho la conferma di quello che ho sempre saputo ammirandoli distrattamente, da distante, concentrato su musicisti più "nobili": I Beach Boys hanno il tocco magico, hanno qualcosa in più e, mi tocca ammetterlo, la loro musica è davvero una droga. Uscirò dal tunnel? Spero di no.
CIAO
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