Un mattino qualunque entro e non oltre i 31 previsti per il mese di gennaio. Londra, Wimpole Street. Fa un freddo della madonna.

Che strano sogno. Qualcosa mi picchia nel cervello. E’ così forte che appoggio i piedi nudi sul pavimento freddo senza avvertire alcun fastidio. Il contatto non mi fa schizzare verso l’alto le piante allo scopo di farle atterrare sul più sicuramente temperato scendiletto.

Un sottile velo di polvere visibile solo in controluce dormicchia sul cilindro ma non posso fare a meno di svegliarlo bruscamente sollevandolo. La melodia si sta propagando rapidamente. Dal cervello alla punta delle dita. I pollici sono sospesi nel vuoto mentre le altre dita si appoggiano con un po’ di incertezza sui tasti: qualcosa però viene fuori. Ma non è che l’ho sentita da qualche altra parte? Jane ti ricorda qualcosa? Non mi pare…

“Ragazzi? Per caso l’avete già sentita qualcosa del genere? Non ricordo che mio padre l’abbia mai suonata o ascoltata…vi dice qualcosa?

- No…non mi sembra…

- No!

- No, no!

Nessuno la conosce…che strano. Buon per me in fondo…

Non ho in mente un titolo. Almeno per il momento. Una sola parola o due? O qualcosa con le sillabe necessarie per adattarsi agli accordi iniziali? Quante battute…tre…Scrambled eggs. Che cazzata! John che ne dici di “Uova strapazzate”?

Me ne farei un bel piatto per colazione! …piccola come mi piacciono le tue gambe…ma vaff…

Tra la primavera e l’estate del 1965, tra Londra e le Bahamas.

“Paul! Hai rotto con questa melodia! La prossima volta faccio sparire quel pianoforte dalle scene a costo di modificare la sceneggiatura in corso di lavorazione!”

- Hai rotto, Paul!

- Smettila, Paul! Non sei Beethoven!

- Che palle, Paul!

- George, ho pensato di suonarla con tutti gli strumenti del gruppo, che ne dici?

- Non mi sembra efficace. Che ne diresti di un quartetto d’archi?

- Un quartetto d’archi? E quando lo abbiamo fatto mai?

- Appunto!

- Ne sei sicuro George? Io no!

- Facciamo così: io contatto dei professionisti e tu ci provi. Se pensi che non funzioni la incidi come credi ok?

Fortunatamente le uova strapazzate sono state messe prudentemente da parte. Così come fortunatamente Paul non impose quello scetticismo che in futuro gli farà commettere un buon numero di sciocchezze, seppur perdonate. Miracolosamente però la diffidenza, nella persona di Chris Farlowe, (quello che rimedierà in ritardo pescando “Out of Time” dall’Aftermath delle pietre rotolanti), si impose verso Paul che altrimenti gliela avrebbe ceduta. La melodia è bella ed il testo è interessante ma è troppo malinconica, troppo “leggera”. Adesso Farlowe starà ancora cercando di rosicchiarsi i gomiti come Dick Rowe e Sidney Beecher-Stevens (rispettivamente Responsabile Artistico e Direttore Commerciale della Decca). Solo con “Yesterday” se avessero voluto percepire una sterlina per ogni passaggio radio registrato nei soli Stati Uniti, vivrebbero con una rendita di appena 7 milioni di bigliettoni con impresso il regal volto di Her Majesty is a pretty nice girl, god seiv t cuin!

Mai come questa volta il numero tre diventa l’incarnazione della perfezione. Per la terza volta la diffidenza, di Paul o altrui, cederà il passo al buon senso. Paul avrebbe dato ascolto all’esperienza di George Martin inserendo la musicale declinazione del “viola”. Non il colore. Un matematico sillogismo e la matematica è una scienza esatta: Sogno – Uova strapazzate = Bella melodia con testo interessante. Bella melodia con testo interessante – Cessione a terzi = Canzone interessante e personale. Canzone interessante e personale + Quartetto d’archi = Yesterday. Mica “L’anatroccolo divorziato”…

Gli altri componenti del gruppo non avrebbero voluto inserirla nell’album “Help!”. L’amore romantico è ancora predominante in buona parte delle canzoni dell’epoca. La svolta è alle porte e nonostante ci sia stato già John a mettere in evidenza la solitudine, la tristezza, la malinconia e la morte, “Help!” è un album troppo fresco, a tratti anche acido e frizzante per contenere un brano così profondo. Forse, col senno di poi, Paul avrebbe potuto dare ascolto agli altri tre amici. Forse. George Martin a mio avviso commetterà comunque qualche errore nella produzione. In effetti “Yesterday” stona non poco se viene inseguita dalla rumorosa e per me brutta “Dizzy Miss Lizzy” in chiusura. L’album si sarebbe potuto bilanciare nelle atmosfere con la bellissima “Yes it is” al posto dell’imbarazzante “It’s only love”, detestata anche dal suo autore (ma se non ti piace che cazzo la incidi a fare, John?) Una chiusura con “She’s a woman” o “I’m down” sicuramente avrebbe reso l’opera recisamente più interessante. Poco male, in compenso sta arrivando “Rubber soul”.

Paul è solo in studio con la sua Epiphone Casino semiacustica. George è appoggiato ad una parete ad ascoltare. L’altro George è in sala di registrazione a regolare i mixer. Un componente del quartetto non si è seduto in maniera composta e sposterà leggermente la sedia mentre Paul “crede per la prima volta in ieri”.

Le corde sono appena pizzicate, quasi mute. La voce è di una dolcezza disarmante. Paul ricorda e soffre. Un amore di cui sente la mancanza, qualcosa di profondo che ha perduto per sempre e non riesce a trovare la strada della rassegnazione. Non sa capacitarsene. Vorrebbe rifugiarsi in un passato appena scappato via o essere certo di un futuro anteriore troppo imminente che riesce addirittura a spaventarlo. Mother Mary è andata via da un pò ormai e passerà ancora qualche anno prima che sussurri parole di saggezza…

La frase di violoncello a 1' e 26'' è stata aggiunta da Paul. Evidentemente l’idea degli archi lo ha convinto talmente che indurrà una povera anima a raccogliere il riso caduto dalle mani di un matrimonio sul pavimento di una chiesa…

Attorno un’anima apparentemente tenera esiste una corazza inscalfibile. Qualcuno ha provato ad affossarla tornandosene a casa carico di meraviglie. Prima il musicologo Spencer Leigh che avrebbe trovato un’inconscia assonanza testuale verso “Answer me”, canzone di Nat King Cole del 1954. Poi, e questa è davvero eccezionale, il discografico Italo “Lilli” Greco, che in passato aveva scoperto gente come Francesco De Gregori e Paolo Conte, nel 2006, purtroppo in odor di oblio, affermò che la canzone sarebbe stata completamente copiata sulla base di un classico napoletano del 1800, “Piccerè che viene a dicere”. Il pulpito è notevole ma la predica non regge. Di questa canzone non ne esiste traccia. Nessuno, e sottolineo nessuno, neanche i 2.000 e passa artisti che ne hanno incisa una propria versione, la conosce. Tranne Greco. E quest’ultimo non possiede neanche alcuna prova per condannare McCartney alle mani nella marmellata. A provare a dargli un minimo di credito ci pensarono con esito inane gli Shampoo, gruppo napoletano che ha avuto una certa fortuna nel parodiare alcuni classici dei magnifici coleotteri. Se è per questo, anche Vince Tempera sostiene che “Hey Jude” abbia la stessa metrica di “O sole mio”. Vabbè và…

Degli altri brani che compongono l’EP, “Act naturally”, “It’s only love” e “You like me too much” non ne parlo neanche. Non avrebbe senso.

“Yesterday” è così bella che fa commuovere.

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