Una cosa, volenti o nolenti, bisogna ammetterla. I Beatles, piacciano o non piacciano, furono professionisti impeccabili. Pubblicare, nell’arco di soli 6 anni (1963-1969), 13 dischi (di cui uno doppio) a cui vanno aggiunti questi due “Past Masters”, che, al di là di qualche cover, sono dischi originali, non è da tutti. Come disse Harrison: “Avevamo il doppio del successo degli altri, perché lavoravamo il doppio degli altri ”.
Le prime 6 canzoni del “Past Masters I” sono dei classici della Beatlemania, canzoni che non hanno certo dato ai Beatles la gloria che hanno e che avranno. Vanno giudicate per quello che sono. John Robertson è coinciso: “Erano canzoni perfette per quei tempi”. Niente più, niente meno. È una perdita di tempo insultarle o celebrarle.
Quando arriviamo alla traccia 7, vediamo invece l’altra faccia dei Beatles, quella matura delle ballate. “This Boy” è senz’altro un gioiellino che ebbe la sfortuna di essere pubblicato come B-side. Qui c’è un Lennon creativo negli accordi (da suscitare anche le lodi di McCartney, senz’altro superiore a John musicalmente), e geniale nel testo in quella dicotomia “This”/“That” - anche se è un testo d’ amore adolescenziale.
Lennon ne fu sempre orgogliosissimo e volle suonarla nel Febbraio 1964, all’ “Ed Sullivan Show”, con le chitarre elettriche, e non con quelle acustiche, come nel disco. È questione di gusti dire se sia più bella la versione acustica o quella folk elettrica. Nelle mia lista delle migliori della loro “produzione minore” (fino a “Help!”), questa non può mancare.
Lennon fu così orgoglioso di “This Boy”, che, circa un anno dopo, cercò di “riscriverla”. Il risultato è “Yes It Is” (penultima canzone dell’album), uno dei più bei lenti mai scritti da John, anche se con un testo non all’altezza della melodia. Questa canzone avrebbe certamente elevato di molto il livello di “Help!”. Invece fu pubblicata come singolo (nella Primavera del 1965) e molti neppure la conoscono. Anche questa nella mia lista delle migliori 12 del primo periodo. La versione dell’Anthology, con la chitarra classica in sottofondo, è, nella parte iniziale, più bella e dolente della versione pubblicata su disco.
Certamente “Long Tall Sally” è una delle migliori performance vocali di Paul, per molti superiore all’originale di Little Richard.
Un'altra sua bella performance vocale “I’m Down”, la canzone che chiude l’album. Sembra quasi una “originale scopiazzatura” di “Long Tall Sally”.
Ovviamente una bella canzone, che, come “Yes It Is” avrebbe reso “Help!” migliore.
La cover di Lennon, “Slow Down”, non mi fa impazzire - nonostante un eccellente cantato, e un ritmo molto ben sostenuto.
“I Call Your Name”, ancora di Lennon (la scrisse a 15 anni), è molto apprezzata dai critici, per essere stata una dei primi ska della storia della musica popolare europea. Io la trovo solo una canzone buona, ma incapace di emozionarmi.
“She’s a Woman” è buona, ma è troppo ripetitiva.
“I Feel Fine” era uno degli orgogli di Lennon per via del feedback iniziale, che diceva essere il primo mai apparso su un disco - “prima di Hendrix e degli Who”. Il riff è davvero accattivante. Se fosse più lenta, sarebbe un gran bella canzone. Così com’è è al limite della canzonetta. Inoltre, il testo è davvero terribile. Se invece nelle liriche sta prendendo in giro gli stereotipi delle canzoni d’amore, allora è un capolavoro di ironia.
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