Su DeBaser ci sono tante recensioni dei Beatles, ma la maggior parte riguardano i soliti dannati album. Credo sia molto più utile parlare di queste registrazioni non ufficiali, e lasciare stare il solito "Pepper" o "Revolver". Il "White Album", sebbene considerato all'unanimità un ottimo disco, a mio avviso è un capolavoro assoluto, nettamente più geniale o maturo del precedente "Sgt. Pepper's Lonely Hearts Club Band", sia per suoni che per composizioni. Questa compilation, pubblicata con diverse copertine e titoli, mostra la nascita di questa relativamente oscura perla del rock.

1968. Ci troviamo in India. I Beatles, in compagnia delle rispettive consorti, di Mike Love, del cantautore Donovan, e di altri vip, sono alle prese con il santone Maharishi, che presto sarà considerato un impostore a causa di un presunto tentativo di stupro nei confronti della sorella di Mia Farrow. Lennon, infastidito dall'insonnia e dagli insetti, Starr, stufo della meditazione e della vita da "discepolo", McCartney, dubbioso (senza mai darlo a vedere) di questa esperienza mistico-religiosa, e Harrison, sempre fiducioso negli insegnamenti di vita orientali, cominciano a dubitare degli effettivi poteri spirituali del santone. La notizia del presunto stupro peggiora la situazione. L'illusione del potere dei fiori e dell'amore predicata nel 1967 finisce: Lennon, diventato sempre più cinico e insoddisfatto, lascia Chyntia Powell e si mette con Yoko Ono, passa dall'LSD all'eroina. L'ironia, il cinismo, il realismo sono gli ingredienti che avrebbero dato vita allo storico "doppio bianco".

I singoli demo, registrati soprattutto durante la permanenza a Kinfauns, presentano un arrangiamento scarno ed essenziale: chitarre acustiche e voci sbiadite sono sufficienti per dare un'idea di ciò che sarebbe venuto in seguito. "Cry Baby Cry" (almeno nella mia tracklist) è il primo fra i brani completi: la voce è tagliente, cattiva, ma stanca, rassegnata; le parole non vanno con la musica ma nessuno se ne accorge. "I'm So Tired" e "The Continuing Story Of Bungalow Bill", splendidamente pigre, sono perfette nella loro semplicità. "Everybody's Got Something To Hide...", "Yer Blues" e "Revolution", invece, sono appena nate, ma ancora le melodie non sono proprio quelle che verranno pubblicate alcuni mesi dopo. Harrison, l'unico pienamente convinto di questo viaggio, ci regala una splendida, delicata versione di "While My Guitar Gently Wheeps", più bella ed emozionante di quella elettrica sull'album definitivo. "Piggies" è perfetta. "Blackbird", "Julia" e la parte iniziale di "Mother Nature's Son" sono praticamente identiche a quelle successive. McCartney, avendo appreso la tecnica del finger-picking da Donovan, oltre ai brani già citati, compone una splendida "Ob-La-Di Ob-La-Da" (sembra un ossimoro) in versione acustica. Interessanti sono "Back In The Ussr" e la scarna "Helter Skelter" (registrata probabilmente al ritorno in Inghilterra).

"Dear Prudence" è certamente il pezzo più importante: dedicata a Prudence Farrow, Lennon sfoga tutto il proprio risentimento verso tutto ciò a cui aveva creduto. L'ironia velata però diventa più esplicita ed aggressiva nella fantastica "Sexy Sadie" (non a caso un tempo chiamata "Maharishi"). Ogni parola, ogni nota è misurata, Lennon diventa più maturo, McCartney si rinchiude nel suo mondo di ipocrisia, Harrison vive l'esperienza più significativa della sua vita, e Starr si stanca del suo ruolo marginale. Questa miscela di risentimenti e conflitti porterà al progetto memorabile (e non) di "Let It Be".

Non sarà un "must" della vostra discoteca, ma è comunque un interessante curiosità per gli amanti del genere.

Carico i commenti...  con calma