Alcune cose che dirò qui le ho già scritte sui commenti. Questa recensione non parla del disco, del quale si sa tutto; cerca invece di spiegare perché i Beatles ebbero la pessima idea di fare un doppio e perché questo doppio contiene alcune cose al limite della decenza.
Nel 1998, in occasione dei 30 anni dall’uscita del “White”, lessi alcune recensioni che alcuni critici dedicarono al disco. La migliore di queste cominciava con due parole: “Capolavoro malato”. Questa è la migliore descrizione che si può fare su questo (controverso) album. Perché di capolavoro si tratta; ma è un capolavoro in potenza. Così com’è, non può, assolutamente, meritarsi questa definizione.
Per comprendere la presenza di certe mediocrità (e a volte di veri e propri “schizzi”), bisogna tornare al 1968, e capire cosa avvenne dopo il loro ritorno dall’India. La scadente produzione dell’album è una colpa di Lennon. John, infastidito dal mito di “Pepper” e, probabilmente, dalla celebrazione che i critici cominciarono a fare del genio di McCartney, mise da parte George Martin (senza eliminarlo del tutto) e impose agli altri tre un disco che “ritraesse i Beatles al naturale, senza trucchi”. Ora, se è certamente vero che “Pepper”, in alcuni punti, è sovraprodotto, John, com’era suo carattere, passò all’eccesso opposto, e cominciò a fare l’ideologo del minimalismo (anche se alcune delle canzoni meglio prodotte sono proprio le sue, cf. “Happiness is a Warm Gun”). Il risultato di questo approccio sono gioielli come “Blackbird”, e “Julia”, buttati giù lì come dei demo. Un dilettantismo insopportabile. Lo stesso John, due anni dopo, cambierà idea e diventerà un seguace di un “produttore dell’eccesso” come Phil Spector. Questo era Lennon, prendere o lasciare.
A questo si deve aggiungere Yoko Ono. Lennon e Yoko nel Maggio 1968 si incontrarono, si amarono, e decisero di andare a vivere insieme. John, col suo carattere eccessivo, se ne innamorò così tanto da portarla anche in studio. Ora, con Yoko ad osservare le prove, i Beatles smisero di essere 4 amici capaci di essere franchi l’uno con l’altro. Una volta, negli anni d’oro, in studio, il bonaccione Ringo osò dire a sua maestà Lennon: “John, la tua canzone è una schifezza”. E John, dopo una battutina, seguì il consiglio e la cambiò! Fu questa franchezza che rese i Beatles superiori alla somma delle loro parti. Come Lennon disse: “La nostra musica nasceva dal nostro stare insieme. Eravamo lì a lavorare, e d’improvviso qualcosa succedeva”. Ora, con Yoko in studio, i 4 dovevano essere “educati” e non potevano più essere se stessi, e criticare apertamente le canzoni come facevano prima. Il triste risultato lo potete ascoltare. La sceneggiatura è quasi completa.
Quasi, perché a tutto questo dramma, si aggiunse la pessima idea del doppio album. Il motivo non è chiaro, forse perché “inconfessabile”. Nell’estate del 67, i Beatles firmarono un nuovo contratto di 7 album in 9 anni (in gruppo o da solisti), e quindi non c’era più l’ obbligo contrattuale che imponesse loro due dischi ogni anno. Quindi i Beatles “non dovevano” fare il doppio disco obbligatoriamente. Secondo me, il motivo reale furono i soldi. I Beatles, nel 1968, avevano creato la “Apple Records” senza nemmeno mettere un manager a capo della nuova etichetta – in un probabile delirio di onnipotenza. E nessuno di loro sapeva cosa fosse un bilancio – come dice McCartney nell’ Anthology. In pochi mesi, i 4 portarono la loro creatura sull’orlo della bancarotta. Ecco che allora un doppio album avrebbe potuto rimpinguare le casse della Apple. E questo in parte avvenne: il “Bianco” vendette (in pochi mesi) vari milioni di copie, ma un milione di un doppio sono molti più soldi di un milione di copie di un album singolo. (Di questa trasformazione dei Beatles in uomini d’affari parlerà velatamente Harrison in “While My Guitar Gently Weeps”).
I Beatles, dunque, non avevano perduto il senno – almeno non tutti. Sapevano quello che stavano facendo, e sapevano bene che l’album era pieno di mediocrità. Rendendosi conto di questo, capirono che i pezzi mediocri dovevano essere ben nascosti, e così dedicarono alla distribuzione delle canzoni 12 ore filate di lavoro. 12 ore filate. (Cf. John Robertson, John Lennon, Tarab).
George Martin disse: “Non volevo che pubblicassero un doppio. Dissi loro di fare un album singolo con 12 grande canzoni”. E 12 grandi canzoni le avevano. Se togliamo gli schizzi, e immaginiamo i pezzi rimanenti prodotti con il perfezionismo dei due album precedenti, abbiamo un capolavoro. Ma mi sto abbandonando troppo alla fantasia…
A voi il giudizio sui 12 pezzi migliori.
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