Le api non hanno cambiato bosco, impollinando qua e là i sempreverdi campi dell'Isola di Wight. Dopo "Free The Bees" datato 2004 e "Sunshine Hit Me" del 2002, "Octopus" torna a percorrere la strada del revivalismo vintage con risultati apprezzabili e (a mio avviso) migliori rispetto agli analoghi tentativi di altre band past-oriented.
Il loro unico scopo è intrattenere e divertirsi. E se il secondo target è sicuramente centrato (si sente chiaramente il piacere nel suonare), il primo non mancherà di certo bersaglio negli animi nostalgici e giocosi, rimasti intrappolati nella macchina del tempo.
Si potrà dire che tutto ciò è citazionismo bell'ebbuono, che una siffatta operazione non ha senso nel 2007, che tanto vale andare a ripolverare i vecchi vinili dello zio freak. Tutto lecito, fuor di dubbio, eppure ascoltando le dieci tracce di quest'album la spensieratezza la fa da padrone, e di questi tempi non è poco, per il sottoscritto s'intende. Inutile passare in rassegna i tanti riferimenti, è sufficiente citare su tutti i Beatles (se è vero che sono stati utilizzati gli studios di Abbey Road), mentre tornando ai giorni nostri vengono alla mente i nomi dei Beta Band e dei Gomez.
"Who Cares What The Question Is", il pezzo che apre il disco, è un country western da saloon ad alto tasso alcolico, "This is For The Better Days", è un funk a la "The Band", da ascoltare su strada a bordo di una Wolkswagen del '68, "Left Foot Stepdown", "Listening Man" e "Stand" ci trasportano sorprendentemente dalle parti di Kingston, "Ocularist" è un folk per metà indiano e metà caraibico, la conclusiva "End Of The Street" chiude nel modo più scanzonato e goliardico possibile un tragitto a ritroso nella tradizione sixties, senza tuttavia peccare di plagio, ma solo di recupero estetico.
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