C’è stato un tempo in cui i mostri mutanti figli della bomba nucleare dimenavano le code a tempo al suono del rock’n’soul più terrificante che mai si sia udito su questa terra, tipo Godzilla alle prese con un bluesaccio che nemmeno il Muddy Waters ipervitaminizzato dal trattamento del dottor Winter avrebbe mai potuto sputare fuori.

Poi è arrivato Roland Emmerich e pure i lucertoloni hanno mboccato la via della plastica, e Godzilla bene che vada te lo ritrovi in una qualche discoteca a cinque stelle, che fa su le mani al richiamo di David Guetta.

Altri tempi, appunto.

Erano i tempi in cui from Riverside, California, se ne venivano fuori bellamente grinte come quelle di Tony Fate, Bob Vennum e Ray Chin.

Poi c’era lei, Lisa.

E mal te ne sarebbe incolto se avessi sottilmente ironizzato su Lisa Lisetta, tantomeno sugli occhi blu, ché altrimenti Lisa sarebbe partita in quarta peggio che il camionista pazzo di «Duel» ma di certo non si sarebbe fatta infinocchiare allo stesso modo.

Lisa Kekaula era un animale, non solo sul palcoscenico.

Insieme a quegli altri tre, mise in piedi i BellRays, primi anni Novanta, un bel po’ di gavetta e nel 1998 «Let It Blast».

In pratica, c’era Tony a firmare tutti i pezzi, o quasi, mettendo a ferro e fuoco Riverside e dintorni con riff scudiscianti come non se ne sentivano da un bel po’; Bob e Ray si dannavano a battere il tempo, e Bob, tanto che ci stava, trovava pure il tempo per scrivere qualcosa.

Poi c’era Lisa, che dei BellRays era voce e anima.

Voce clamorosa, di quelle capaci di accarezzarti con un sussurro appena prima di travolgerti con un ruggito.

Anima nera, intendila come vuoi.

Poi, quel magma che risuonava in «Let It Blast» qualcuno lo battezzò rock’n’soul; e però Lisa e compagnia coglievano meglio il segno quando, pochi mesi dopo, continuavano il frastuono nello split «Punk Rock and Soul» così come in «Grand Fury».

Apriva le danze «Future Now» e impiegava nemmeno dieci secondi per mandare a gambe all’aria il nichilismo di quei teppistelli che vent’anni prima si aggiravano per le strade di Londra, architettando la grande truffa del rock’n’roll.

Dopo quaranta minuti, più o meno, le chiudeva «Get On Thru».

In mezzo, c’era tanto punk nei modi di «Kill the Messenger» e «Testify», altrettanto soul nell’attitudine di «Changing Colours», «Cold Man Night» e «Blue Cirque».

Giravi la copertina e leggevi che questa era la rivoluzione del punk soul.

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Oggi Lisa e i BellRays sono ancora giro, hanno appena fatto un nuovo disco e lo hanno intitolato «Punk Funk Rock Soul Vol. 2» ma non sono più i tempi in cui Godzilla pogava e faceva headbanging andando dietro a un blues contagioso come pochi altri.

Sono tempi dignitosi ma la rivoluzione punk soul era tutt’altro.

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