Ho trovato in una bancarella, e dio solo sa quanto la cercavo, questa vera chicca, ormai introvabile, di questa Beta Band, gruppo disallineato e incostante che ha dato alle stampe altri tre lavori dopo questo del 1997, discontinui, trasversali e poco definibili (e per questo per me grandiosi).
Questo che vi presento è la raccolta dei loro primi tre e.p.s., una sorta di mini disc con quattro brani, ben più facili da produrre, da distribuire e da vendere ai concerti (il CD quindi ha 12 brani). I nostri quindi si presentano sfoggiando tutta la loro verve south rock, lenta e melliflua, che, unita agli impasti vocali perfetti nella loro leggera distonia, danno il vero e proprio marchio di fabbrica per un gruppo che ancora oggi stenta a trovare una sua collocazione precisa nel panorama musicale contemporaneo (storica, alla presentazione alla stampa del loro primo disco, l'uscita del cantante che definì il disco una "vera e propria stronzata", cosa a mio avviso non vera né allora nè adesso).
Qui siamo alle prime bozze del progetto e, tra le varie ingenuità, si respira però forte una gran voglia di "divertito cazzeggio" che dà ai 12 brani un sapore di Grande Prova Generale nell'attesa del vero e proprio "disco d'esordio" (che avverrà 3 anni dopo appunto con la battuta storica di cui sopra) e che li rende incredibilmente sciolti e spontanei, come fossimo nella loro sala prove, senza troppe puliture o perfezionamenti. Si sentono così le voci di fondo, gli stacchi, le improvvisazioni fuori tema, gli arrangiamenti che passano con nonchalance dal soft rock alla bossa nova, con inserimento di battiti di mani, fischietti, coretti alla Beach Boys, riverberi, risate e tante cose che farebbero la gioia del caro amato Beck di Odelay. Insomma un disco estremamente vario, benché abbastanza "piatto" nell'impostazione armonica e nella costruzione dei brani, sempre rigorosamente slow e che imprime ai brani un'unica matrice riconoscibile e assai godibile. Ecco così sbucare il trip post-cylum (il brano "Monolith", lisergico e psicadelico il giusto, ossia 15 minuti e passa!) o la Lennoniana "She's The One", o la sghemba "Push It Out" solo a cappella, piatti e clap-hand (?), la west-coast songs di "It's Over" degna del miglior Neil Young che incontra Morricone, la sconclusionata "Dr. Baker" dove l'intreccio vocale si fa sperimentazione sfociando in esercizi al limite del progressive, ma sempre in maniera divertita e mai pedante, senza quindi virtuosismi strumentali ma prediligendo sempre lo spirito di gruppo, e così via per tutto il lavoro, pieno e zeppo di citazioni e riferimenti "ad altro".
Un disco a mio avviso bello e visionario che, nonostante i limiti tecnici dei nostri, suona come un lungo e meraviglioso viaggio psicadelico, noise e post-rock nella migliore tradizione, dando alle voci e al loro strano impasto sonoro, il titolo di vere e proprie protagoniste del progetto "Three E. P. S.". Una gran bella scoperta davvero.
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