Tornano i texani The Black Angels da Austin con il loro terzo album in studio: "Phosphene Dream''. Tornano oscuri e lividi come il vostro peggior trip lisergico, acidi e tormentati come l'anima nera del più lontano sogno hippie che ricordiate. Abbagliata da una luminosità viscerale, questa terza fatica non è altro che un'ossessione sixties di umore leggero, meno oppressiva rispetto ai due precedenti lavori ("Passover" e "Directions To See A Ghost") e appare come una percezione improvvisa e fugace di quella folle scia di fosfeni che hanno impreziosito un'epoca: quella dei sessanta.
Non è l'originalità del sound il marchio di fabbrica dei nostri angeli neri è evidente, ma quelle feroci chitarre vintage, quell'organo sepolto in profondità ad ogni traccia, quelle maniacali visioni barrettiane unite ad una batteria minimale e ad un esaltante e bastardissimo garage-groove creano un album tanto pericoloso per la mente quanto per le orecchie. Una specie di liquido mantra psych-drone dal quale non riesci più a liberarti. Come una colla gelatinosa ti intorpidisce i sensi guidandoti per le strade desolate di un paese abitato solamente da incubi e ombre.
"Bad Vibrations", l'open-track, ne è l'esempio lampante. Un torvo lamento e un riff sinistro di chitarra ti pilotano verso il cattivo presagio che alla fine l'amore ti mangerà il cuore ed è chiaro che questo è il modo 'migliore' per iniziare questo viaggio di ossessioni malsane. Si va dalle 'presenze' psych-rock di "Haunting at 1300 McKinley', alla luce dorata degli 'alieni' di ''Yellow Elevator 2" (superba!) fino ad approdare alle rive insanguinate della nostra coscienza in ''River Of Blood'', martellata da distorti feedback e da una drone-machine inquinata e deviante. Dall'extra-terrestre spedizione Floydiana di "Entrance Song" al lamentoso salmodiare velvettiano di "True Believers", passando attraverso le luminose visioni cristalline di "Sunday Afternoon" con i suoi frondosi organi vintage e concludendo questa folle catarsi temporale fra il battimani sudato e le chitarre eccitanti della danzereccia "Telephone" (grandiosa!).
"Phosphene Dream" è uno sballo tormentato e lisergico, uno psych'n'roll attraverso allucinazioni desertiche che solcano il terreno di percorsi già battuti a metà strada fra la psichedelia dei compatrioti 13th Floor Elevators e quella paranoica e decadente dei Velvet Underground. E' un vagabondaggio tra riverberi folk-rock ("True Believers"), elettriche ballad ("The Snipers" e "Phospene Dream") e boogie febbrili ("Telephone" e "Sunday Afternoon"). "Phosphene Dream" è il suono della ribellione, del fermento interno, la cura all'inquietudine delle tue vene.... Non c'è calma stavolta sulla tua strada, solo un'immensa vastità di spazi. Dennis Hopper sarebbe saltato in sella, con i soldi nel serbatoio della moto, schiavo del sistema ma figlio della libertà, forse questa volta lo faccio anche io. Voi intanto procuratevi questo disco, fatelo per il vostro bene.
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