Non mi sovviene una frase ad effetto per iniziare il tutto, per cui mi limito a raccontare come sono andate le cose.

E le cose sono andate che oggi ho “ascoltato” il mio solito disco del giorno su DeBaser e qualcheduno, senza che c'entrasse un piffero, di punto in bianco tira fuori il fatto che ha appena ascoltato per la prima volta «Hard Line» dei Blasters.

Quanto ti invidio, caro il mio, perché tu sei qui, ora, a provare emozioni che io ho ormai sepolto da qualche decennio; perché ascoltare «Hard Line» per la duecentosessantasettesima volta non è proprio come ascoltarlo per la prima, anche se i solchi restituiscono pur sempre la voce di Phil e la chitarra di Dave, inconfondibili entrambe, e le canzoni sono sempre quelle, da «Trouble Bound» sussù fino a «Rock'n'Roll Will Stand».

Col senno di poi, che è una gran brutta bestia quando si parla di rock'n'roll, perrché il rock'n'roll è solo un'insensata passione e quindi il senno andrebbe messo al bando; col senno di poi, posso dire che «Hard Line» è un disco epocale, sempre che gli anni Ottanta possano essere considerati un'epoca.

Ho sempre pensato, e lo penso tuttora, che sia una via di mezzo tra «London Calling», «Violent Femmes« e «Warehouse: Songs And Stories».

A «London Calling» lo accomuna l'ambizione sfrenata di rileggere la Storia della Musica americana, e se il terzo dei Clash riveste ancora l'autorità della Bibbia, il terzo (quarto,a voler essere pignoli) dei Blasters è un degnissimo sunto della Storia medesima, un bignamino con i controfiocchi che, studiato a fondo, ti apre le porte di una conoscenza senza confini che può (contribuire a) cambiarti la vita, ed almeno per me è stato così; perché per tanto tempo ho pensato che «London Calling» fosse la storia più bella mai scritta attraverso sette note e che «Hard Line» seguisse a ruota.

Di «Violent Femmes», «Hard Line» mantiene l'approccio irriverente alla Storia, perché, hey, stiamo parlando pur sempre di rock'n'roll ed il rock'n'roll è prima di tutto e sopra ogni altra cosa musica per ballare nelle strade per ore ed ore e poi uscirne stremati con un sorriso da lupo mannaro a quarantadue denti stampato in viso; ed è solo per questo che, ci seppellissero pure sotto un diluvio di atomiche, il rock'n'roll resisterebbe; ed è solo per questo, ancora, che Dave e Phil mettono la parola fine alla loro Storia (anche questa in maiuscolo) sulle note di «Rock'n'Roll Will Stand».

È come «Warehouse», perché Phil e Dave, prima di abbassare la saracinesca, vogliono mettere bene in chiaro che rileggere la tradizione alla luce rivoluzionaria del presente è possibile; è l'alba degli anni Ottanta, imperversa la seconda ondata punk e l'hardcore reclama spazio a gran voce; ed i fratelli Alvin fanno comunella con gli X e gli Husker Du rileggono «Eight Miles High»; ed entrambi, Blasters ed Husker Du, salutano sulle note di quello che, a posteriori, è il loro capolavoro.

Ed è pure come tutti quei dischi che nascono sotto una cattiva stella, ma il rock'n'roll spacca le ossa pure alla cattiva sorte, per cui ne esce sempre vittorioso.

Fatto sta che Phil e Dave, in quei giorni, sono come Caino ed Abele e chi indossi i panni dell'uno o dell'altro è impossibile a dirsi; i capoccia della Warner gli impediscono pure di dare interviste assieme, per evitare che comincino a scazzarsi davanti alle telecamere ed ai taccuini; e la tensione è tale che uno dei concerti di supporto al disco è concordemente ricordato dagli oggi rappacificati fratelli, come il peggiore in assoluto della loro breve ma intensa vicenda.

E considerato come le beghe tra Phil e Dave siano “cosa loro”, i Blastrers perdono pure i pezzi: prima se ne va Steve Berlin, subito dopo Gene Taylor, e così va a finire che sulla copertina di «Hard Line» sono solo in quattro.

Però ci sono pure tanti amici e tanta bella gente e tanta splendida musica – dal gospel al rockabilly – dentro «Hard Line».

Da chi si parte?

Io, per non saper né leggere né scrivere, parto da John Doe. Ora, John Doe è John Doe, ma, per ventura, non fosse stato John Doe e non fossero mai esistiti gli X, John comunque avrebbe garantito il suo posticino nella Storia per aver scritto a quattro mani con Dave quell'autentica meraviglia di ballata che è «Just Another Sunday» (la terza più bella di ogni tempo), canzone della vita per chiunque abbia mai passato una domenica d'inferno in una più o meno metaforica stanza 16 di un più o meno fottuto albergo di quarta catagoria. Questi sono i Blasters all'apice, a metà strada tra lo Springsteen di «Darkness» ed il Mellencamp di «Scarecrow».

John Mellencamp c'entra perché ci sta, nel senso che regala a Phil e Dave «Colored Lights» nella speranza che sali le classifiche (ma non va così) ed offre una mano vigorosa in fase di produzione. Per cui, se ponete orecchio e scovate un qualche accento heartland-rock, ora sapete quale ne sia la fonte.

Ci sta pure Dave Hidalgo e pure lui, all'epoca, è un “pezzo da novanta” tra tutti i “pezzi da novanta” che sposano radici ed ali della musica a stelle e strisce; ed ancora oggi, se qualcuno dice Blasters, non posso fare a meno di bisbigliare tra me e me Los Lobos, e non solo perché in quei tempi pischelli avevo una musicassettina e sul lato A ci stava «Hard Line» e sul B «How Will The Wolf Survive», ma perché è una faccenda di passioni e sentimenti concordi. E Dave partecipa alla bella combriccola che dà anima e corpo a quello splendore folksie che è «Little Honey». Che, poi, per dire, è pure questa opera di John Doe; e poi John la riprende con gli X, ma non è più la stessa cosa, proprio no.

E poi c'è tanto altro, tra vecchie glorie in carne ed ossa – i Jordanaires, chi sono costoro? – ed altre che aleggiano in spirito – e chi urla che a roccare in «Dark Night» sono i Creedence è come sempre mio fratello, ma un destino beffardo ci ha separato alla nascita – e gente che ha lavorato con T-Bone Burnett e con i R.E.M..

Cosa significa tutto questo sproloquio?

Due cose.

La prima è che «Hard Line» è un disco irripetibile, figlio di una stagione irripetibile di rock'n'roll irripetibile. Ed hai voglia a dire che la musica, prima o poi si ripete sempre: la musica bella, ma bella per davvero, quella non si ripete mai.

La seconda è che io, al mio caro che oggi ha ascoltato per la prima volta «Hard Line», lo invidio perché sicuramente avrà la possibilità di emozionarsi ancora ed ancora scovando chissà quali altre meraviglie; mentre io la speranza di ascoltare di nuovo dischi belli come «Hard Line», «London Calling», «Violent Femmes» o «Warehouse» l'ho riposta nel cassetto da un bel po' di anni, ormai.

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