Il 2009 è stato l'anno di grazia del revival Hardcore Techno. E già, alla fine sono riusciti a rispolverare pure quello, ora ci manca solo lo speedcore gabber e cominceranno a fare i revival dei revival (se già non li stanno facendo).
Ma che cos'è l'hardcore techno? Essenzialmente è un genere di musica elettronica dance nato dalle parti di Rotterdam: potente, aggressivo, beat industriali, qualche frequenza sub-bassa che ti faceva fare la cacca addosso e una ripetitività che senza qualche pasticchina quà e là provocava volentieri la pazzia.
Fatto sta che purtroppo per noi giovincelli italioti questa roba spacca-timpani andava forte all'inizio degli anni '90, giustappuntamente cavalcante la meravigliosa onda assassina del periodo rave. Ecco, quindi, che a riempirci di nostalgia per un tempo mai vissuto spuntano fuori nel 2007 i Justice, e via di revaivol: niente più trance da checche, via tutta la house commerciale da quartiere bene, bentornati rave sgangherati, ma questa volta con più alcohol e meno mdma, che se ritorni a casa da una festa senza vomito seccato sulla maglietta di H&M è come se non ci fossi andato affatto.
E pensate un po', in prima linea assieme a Justice e Boys Noize ci sono fra l'altro due "band" italiane: Crookers e The Bloody Beetroots. Premetto che non voglio perdermi in facili nazionalismi e cercherò di descrivere il disco dei Bloody Beetroots senza pensare che vengono da Bassano del Grappa. Che poi chissenefrega della geografia in musica, no? Che guardi questi due buontemponi giramondo che appaiono in pubblico sempre con una maschera in faccia (chi ha detto Daft Punk?), in questo caso di Venom, la nemesi di Spider Man o ilcheccacchioneso di Spider Man, purtroppo (?!) non mi intendo di fumett, e, insomma, non pensi mica che sono Italiani, ma nemmeno boh americani, cioè, non pensi proprio.
Ebbene questo dischetto, assemblato dopo una sequela ben nutrita di remix, è più che altro una compilation di cose già edite più qualche novità, ma la cosa non ci tange più di tanto visto che da DeBaseriani passiamo più tempo a criticare (o a osannare) i Dream Theather che nelle discoteche o sui siti "in", pertanto è improbabile che abbiate già ascoltato qualcuno dei precedenti, e sconosciuti, ep.
Bene cominciamo dalle cose "brutte" di questo "Romborama". I primi tre brani risentono fortemente dell'influenza Justice: organi inquietanti dappertutto a ricordarci che, ok, ce la stiamo spassando sul dancefloor e stiamo sudando come maiali, ma che prima o poi dobbiamo pur tirare le cuoia. Il massimo per passare un sabato sera di spensieratezza. Inoltre, è un disco essenzialmente danceable e basta: difficile che lo mettiate nell'ipod per ascoltarlo dall'inizio alla fine. Le tracce sono scollegate e da una traccia all'altra lo stile cambia notevolmente. D'altronde se uno fa musica dance
Alla quarta traccia "Awesome" qualcosa di diverso già si sente: una sboronata hiphoppica che sembra urlare "U-S-A-U-S-A" però se ci pensi un attimo gli americani non sono così misurati e raffinati con la sboronaggine, il brano si ferma a 2 minuti e mezzo, nel bel mezzo del tuo ancheggiamento entusiasta. E poi, bè, arriva una bomba e si chiama "Cornelius", un raver coi capelli verdi e sudaticcio che si fa largo a gomitate sulla pista urlacchiando esagitato "'ardkore, u know da score!", e gli iniziali dubbi suscitati dall'inizio del disco spariscono nella folla calpestati da una slam-dance irrefrenabile, e di sottofondo un "OH, OH, OH, OH!!" che sembra un urlo di guerra degli Unni. La pressione aumenta, il vapore fa implodere la pentola a pressione, tutti, unni compresi, pogano in una violenta e gioiosa estasi. Qualcuno sbratta quà e là, qualcuno è costretto a uscire dalla mischia con la faccia insanguinata e tutti son contenti. E il carosello non si ferma. "It's better a DJ on 2 turntables" spara vira verso il minimalismo maranza à la "Flat Beat" di M Oizo, "Talkin' in my sleep" è soul apocalittico che erutta dall'esofago, sbatacchiamento di testa a mò di Bobble Head, fin quando la testa non si stacca, "Butter" rivira in zona Justice facendo sembra terrificante pure un dozzinale handclappin'. E di nuovo, un'altra mazzata, "Warp 1.9" con il blasonatissimo Steve Aoki: uno scorreggione sonico che si alza e si abbassa come un ottovolante per 3 minuti inframezzato da battiti di mano e "UhUh" brutalmente gay.
C'è anche spazio per robine definite da altri tizi, sottoscrivo, "morriconiane", ovvero dei brevi e teneri intermezzi che in mezzo a tanto maestoso sudore riscaldano il cuore. Cioè, come si fa a non intenerirsi quando la bambina in "Little Stars" canticchia Jingle Bells?
Tutte cose non funzionali ai club, certo, ma che fanno capire quanto puntino in alto, o perlomeno verso luoghi inesplorati, i Bloody Beetroots, che fra l'altro tra un dj-set a Buenos Aires e uno a Tampa riescono a trovare il tempo per dire al giornalista di turno che i loro dischi preferiti sono "Metal Box" dei P.I.L. e altre robine punk. Un attitudine punk, fuori dagli schemi di certo ci vuole, per non far sembrare becero il solito autotune come in "Second Streets Have No Name" o non sdolcinato un mistone di organo e archi fintissimi su una drum-machine old skool.
E poi vabbè, ci sarebbero ancora altre tracce interessanti da raccontarvi di quest'album esuberante, vi basti sapere che la musica elettronica italica sta correndo più velocemente di quanto l'Italia dei club (quella di Gigi D'Agostino) si stia rendendo conto. I Bloody Beetroots hanno sfilato con un calcio lo stivale e si stanno prendendo il mondo. E se già avete l'ultimo favoloso disco di Vitalic, è qui che dovete passare per capire dove sta andando la EDM del nuovo decennio.
E anche, perché no, se volete imbrattarvi ben benino il maglioncino a righine.
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